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lunedì 2 gennaio 2023

IL POLITTICO

Il polittico è un insieme di tavole dipinte, disposte su uno o più livelli sovrapposti e riunite entro una cornice in legno intagliato e dorato, che con elementi decorativi quali pilastrini, colonnine e fregi, nasconde le giunture tra i vari scomparti.

La struttura permette di combinare, secondo una precisa gerarchia, le immagini dei personaggi sacri, le loro storie e altre figurazioni accessorie.

Tra Medioevo e Rinascimento, il polittico è l'opera d'arte destinata ad essere collocata sull'altare di una chiesa o di una cappella per celebrare nella forma più solenne e fastosa le immagini della Madonna e dei Santi. Può assumere dimensioni monumentali ed essere dotato di sportelli.


Polittico di Sant'Ivo - 1520 circa - Galleria Sabauda Torino

Vediamo nel dettaglio:

     

La cimasa è la parte superiore del polittico. Può accogliere una o più tavole con l'immagine di Cristo al centro, l'Annunciazione suddivisa in due scomparti o altri soggetti sacri.


La cornice in legno scolpito e dorato si presenta come una vera e propria architettura, decorata secondo lo stile del tempo: cuspidi, guglie e motivi floreali di gusto gotico dominano fino al pieno quattrocento, mentre con l'avvento del rinascimento si preferiscono fregi, volute, colonne e pilastri.




Nel pannello principale, disposto al centro e di dimensioni maggiori, troviamo di solito l'immagine della Madonna con il Bambino o la figura del santo cui è intitolata l'opera. Negli scomparti laterali sono raffigurati personaggi sacri quali santi, apostoli, profeti o arcangeli, talvolta accompagnati dal ritratto del devoto che ha commissionato l'opera.


I polittici più complessi possono comprendere un secondo livello di pannelli, più piccoli rispetto a quelli del livello principale.



La predella si trova alla base dei polittici più articolati: è composta da una serie di piccoli scomparti contenenti iscrizioni, figure oppure storie dei personaggi rappresentati nel registro principale.

 






    




domenica 17 maggio 2020

Dizionario dell'Arte: FROTTAGE

Il frottage è una tecnica che consiste nel creare un'immagine collocando un foglio di carta su una superficie ruvida, come legno non levigato o tela di sacco e sfregando sul foglio una matita o un pastello finché sulla sua superficie non appare l'immagine della struttura superficiale di quello che sta sotto.



L'immagine risultante è di solito presa come uno stimolo dell'immaginazione destinato a formare un punto di partenza per un'opera pittorica che rappresenti l'immaginario inconscio.

La forêt pétrifiée - Max Ernst 1929

La tecnica fu inventata nel 1925 da Max Ernst che descrisse come fu ispirato dalle tavole di un pavimento di legno la cui grana era stata accentuata da migliaia di strofinamenti.

La ruota della luce - Max Ernst 1926
Molti furono i surrealisti che adottarono questa tecnica.

Frottage - Roland Penrose 1932 c.









mercoledì 13 maggio 2020

Dizionario dell'Arte: Cadavre exquis

E' un gioco con carta e matita nel quale un piccolo gruppo di persone contribuisce a turno alla creazione di una frase o di un disegno, ignorando ciascuno il contributo dato dagli altri partecipanti.

Nel caso di un disegno, di solito viene piegato in modo da mostrare una piccola parte dell'immagine (in sé priva di significato) del concorrente precedente, così da creare uno spunto per la persona successiva. 
Man Ray, Joan Miró, Max Morise,
Yves Tanguy
 1928

Questo antico gioco fu utilizzato dai surrealisti che lo reinterpretarono come mezzo per estrapolare il subconscio collettivo o per sviluppare l'elemento casuale che consideravano parte del percorso verso la creatività.

Il nome, che letteralmente significa "cadavere eccellente" deriva dalla prima frase creata attraverso il gioco: "il cadavere eccellente berrà il vino novello".



lunedì 27 aprile 2020

Donne nell'arte: EVA HESSE

Eva Hesse (Amburgo 1936 - New York 1969) si considerò un'artista sin da piccola, a sedici anni scrisse a suo padre: "sono un'artista. Credo che mi sentirò e vorrò essere sempre un po' diversa dalla maggior parte delle persone. E' per questo che ci chiamiamo artisti."
La sua famiglia lasciò Amburgo nel 1939 per sfuggire al regime nazista ed emigrò negli Stati Uniti. Lì Eva studiò prima alla Cooper Union School e poi dal 1957 al 1959 arti applicate alla Yale School of Art and Architecture, dove insegnava l'emigrato tedesco Josef Albers. Ma se il veterano del Bauhaus era favorevole ad un tipo di pittura rigorosamente razionale e sistematico, l'approccio della Hesse era più soggettivo ed influenzato dall'espressionismo astratto, come dimostrano i suoi lavori degli anni Sessanta.


Senza titolo - 1960
Senza titolo - 1960













Willem de Kooning, Arsile Gorky e Jakson Pollock erano il punto di riferimento costante del suo lavoro.
La svolta decisiva della sua carriera, cioè il passaggio all'opera tridimensionale, non avvenne però nell'ambiente newyorkese, ma durante una permanenza di quattro mesi in Germania, tra il 1964 e il 1965.
Eva Hesse ed il marito Tom Doyle
Il fabbricante di tessuti e collezionista d'arte Arnard Scheidt aveva invitato lo scultore americano Tom Doyle, marito della Hesse, ad utilizzare come studio l'edificio di una vecchia fabbrica a Kettwig an der Ruhr e durante questo periodo Eva  realizzò una grande quantità di grafici (che combinavano in modo surreale elementi meccanici ed organici) e quattordici plastici che furono esposti alla Kunsthalle di Düsseldorf nel 1965.
I plastici erano costruiti su pannelli di fibre rettangolari con gesso, cartapesta e fibre tessili come corde e lacci, e successivamente dipinti.  
In alcuni di essi erano presenti elementi che potevano muoversi nello spazio circostante come la corda viola in Up the Down Road (su per la strada) del 1965, un'opera che prefigura la sovversione della relazione convenzionale tra il piano, lo spazio e la cornice dell'immagine.



Il titolo potrebbe essere interpretato come il segno di una crisi personale di cui si trova traccia nei suoi diari, ma anche indicare il disagio provato nel tornare nel paese che aveva perpetrato l'olocausto e da cui lei e i suoi genitori erano fuggiti nel 1939.
Il ritorno a New York nel 1965 segnò la sua affermazione come scultrice. E' del 1966 Hang Up (appendere) una delle più suggestive opere dell'artista: una grande cornice vuota, completamente ricoperta di bende, alla quale era attaccato un filo d'acciaio che sporgeva verso l'esterno.


L'artista stessa definì questo lavoro come una delle sue  opere migliori dicendo che "per la prima volta era riuscita ad esprimere la sua idea di assurdo e le sue sensazioni più profonde".
Per molti dei suoi lavori fu difficile stabilire se si trattava di pittura o di scultura come nel caso di Contingent del 1969



costituito da otto vestiti di cotone immersi nel lattice e appesi in file parallele, perpendicolari alle pareti, oppure di Right After (subito dopo) sempre del 1969 


una composizione di corde di fibra di vetro bagnate nella resina e appese al soffitto per mezzo di uncini. Il titolo si riferiva al fatto che l'artista aveva lavorato a quest'opera subito dopo essere stata operata per un tumore al cervello che l'avrebbe poi uccisa nel 1970 a soli 34 anni.
La fragilità delle opere e i materiali deperibili utilizzati da 

Repetition Nineteen III - 1968
(fibra di vetro, poliestere, 19 pezzi diam. 30 cm. altezza 50 cm.)

Eva Hesse trovano un'analogia con la sua vita fatta di eventi tragici come il divorzio dei genitori e il successivo suicidio della madre, il fallimento del suo matrimonio e il suo stato fisico e mentale, ma la sua ricerca e l'originalità dei suoi lavori sono stati d'ispirazione per molti artisti.








"Ho cercato di dare vita ai contrasti più assurdi ed estremi. Questo per me è sempre stato più interessante della creazione di qualcosa di normale come le dimensioni e le proporzioni giuste." (E.H.)



domenica 19 aprile 2020

Movimenti artistici: OP ART

Con il termine Op Art (Optical Art -  termine comparso per la prima volta nel 1964 su un articolo del Times più che altro in opposizione a Pop Art) si intende quel movimento composto da artisti europei, americani e sudamericani che a partire dagli anni Cinquanta cercò di fondare un nuovo linguaggio artistico utilizzando nozioni e strumenti scientifici.
I giovani che si avvicinano alle problematiche della visione iniziarono le loro sperimentazioni basandosi sulle ricerche dell'ungherese László Moholy- Nagy (formatosi nell'ambito del costruttivismo e poi attivo al Bauhaus) e del tedesco Josef Albers, (artista e anch'egli professore della scuola di Weimar).
Pur condividendo gli elementi centrali della ricerca dei due maestri dell'avanguardia - legate ai processi e alla loro relazione con la soggettività della visione - gli artisti optical (tra i quali Victor Vasarely, Getulio Alviani, Paolo Scheggi, Jesus Raphael Soto, Yakov Agam, Bridget Riley, Julio Le Parc, Carlos Cruz-Diez) basavano la propria ricerca su due punti fondamentali.
Il primo che non era possibile sottrarre l'individuo ai condizionamenti che lo avevano determinato, pertanto esso doveva essere libero delle proprie facoltà percettive; il secondo che la percezione rappresentava una parte, un momento dell'immaginazione intesa come attività di pensare attraverso immagini, inizialmente statiche e successivamente dinamiche.



La ricerca doveva avvenire su una sequenza di immagini determinata da un ritmo e la capacità di tali immagini di associarsi poteva avvenire nella sequenza stessa, nello spettatore o esternamente a lui, oppure essere determinata da meccanismi ottici o luminosi.  Tutto doveva basarsi su un totale rigore scientifico, sull'utilizzo di elementi geometrici semplici o complessi, su una profonda conoscenza delle teorie del colore e della percezione visiva e questo faceva diventare l'artista quasi uno scienziato.
All'inizio, attraverso l'utilizzo del bianco e del nero, di forme geometriche relativamente semplici, furono creati effetti ottici in cui la definizione della forma era precisa e dichiarata



poi si passò a sfruttare le leggi della teoria dei colori (contrasti simultanei, scale tonali digradanti o crescenti ecc.) e della forma con un'attenzione particolare a legare tra loro dinamicamente gli elementi in modo da costruire un insieme organico e non una somma di singoli elementi.
Partendo da questi elementi semplici gli artisti iniziarono a muovere il piano secondo una logica formale più libera, fino a suggerire il rilievo nella piatta superficie del quadro grazie ad effetti ottici






oppure con l'inserimento di elementi tridimensionali


Nel 1965 i risultati della Op Art furono presentati al Museum of Modern Art di New York nella mostra The Responsive Eye curata da William Seitz.
Il pubblico fu affascinato dagli infiniti giochi ottici che le opere proponevano, tutti gli abituali codici percettivi erano messi in discussione e sovvertiti al fine di dimostrare come fosse possibile far muovere un piano totalmente immobile utilizzando unicamente elementi di carattere percettivo.
Attraverso l'uso di materiali extrapittorici si cercava di porre in relazione forma e materia al fine di sottolineare la percezione che il nostro occhio ne deriva.
La mostra, che voleva ribadire la grandezza del movimento, segnerà però anche la fine dell'Optical Art: ai grandi artisti si erano ormai già affiancati troppi imitatori.







sabato 18 aprile 2020

Donne nell'arte: DOROTHEA TANNING

La pittrice, scultrice e poetessa Dorothea Tanning (Galesburg  1910- New York 2012) è stata un punto di riferimento fondamentale nell'avanguardia della metà del Novecento, con un posto di particolare rilievo nella storia del Surrealismo.
Originaria di una piccola provincia dell'Illinois, ricevette la sua breve istruzione artistica all'età di vent'anni alla Chicago Academy of Art.
Lasciata la scuola d'arte dopo sole tre settimane,  cominciò a guadagnarsi da vivere facendo la modella per gli artisti, l'illustratrice e la marionettista.
Dopo cinque anni a Chicago, durante i quali frequentò anche un gangster, nel 1935 si trasferì a New York dove entrò in contatto per la prima volta con le opere dei surrealisti alla mostra Fantastic Art, Dada, Surrealism (tenutasi al MoMA nel 1936) la prima importante collettiva surrealista organizzata in America da Alfred Barr.
Osservando le opere esposte in mostra, vide legittimate le sue ambizioni artistiche che nutriva sin da bambina (a sette anni aveva già deciso di voler diventare un'artista e cominciò a  dipingere scene surrealiste molto tempo prima di sentir parlare del movimento, a quindi ritrasse una donna nuda con delle foglie al posto dei capelli) e poco dopo aver visto la mostra la Tanning cominciò a sviluppare il suo tipico stile che avrebbe caratterizzato il suo lavoro fino agli anni Cinquanta: scene oniriche e un po' gotiche, realizzate in modo tecnicamente impeccabile  sullo stile di Paul Delvaux e René Magritte .
Due quadri dei primi anni Quaranta sarebbero poi diventati icone surrealiste: Birthday (1942) in cui una statuaria raffigurazione di Dorothea Tunning a seno nudo fa la guardia a una bestia mitica che assomiglia a un lemure alato ed  Eine Klein Nachtmusik (Una piccola serenata - 1943) malinconica allegoria del risveglio sessuale che vede protagoniste due giovinette soggiogate da un gigantesco girasole.



Il desiderio di conoscere gli artisti surrealisti, nel 1939 la portò a trasferirsi a Parigi ma non poté incontrarli perché nel frattempo si erano rifugiati a New York per sfuggire alla guerra.
Ritornata in America Dorothea riuscì finalmente ad incontrarli: divenne molto amica di Marchel Duchamp e nel 1942 conobbe Max Ernst ad una festa e lo sposò nel 1946 quando lui divorziò da Peggy Guggenheim.  Restarono insieme  trent'anni, sino alla morte di lui nel 1976 stabilendosi prima a Sedona in Arizona e poi in Francia nella regione della Provenza ma non si fece mai influenzare dal punto di vista artistico dallo stile carismatico del marito.
Conservando la propria tormentata versione del surrealismo Dorothea Tanning dipinse con precisione accademica, dando vita ad un mondo  fatto di squallide camere d'albergo, corridoi e ballatoi, in cui ragazzi giovani interagiscono in modo bizzarro con mostri, cani e altre strane creature























Sul finire della carriera le sue composizioni si fecero più frammentarie e meno precise, quasi astratte. 


Affascinata dai manichini e dalle bambole realizzò  anche installazioni e scultore tra cui Chambre 202, Hôtel du Povot (1970)



o Nue Couchée (1969-70)



Morì a centuno anni a Manhattan dove tornò negli anni Ottanta dopo essersi trasferita dalla Francia.
Malgrado non desiderasse essere etichettata come surrealista, sono proprio le sue opere surrealiste ad essere oggi le più quotate.






"Suppongo che sarò definita una surrealista per sempre ... ma per favore non dite che sono la portabandiera del Surrealismo. Il movimento è finito negli anni Cinquanta e da allora il mio lavoro è andato talmente avanti che essere chiamata surrealista oggi, mi fa sentire un fossile". (Dorothea Tanning - 2002)

lunedì 30 marzo 2020

Movimenti artistici : FLUXUS

Il movimento internazionale Fluxus si afferma nel 1961 e mette in pratica le teorizzazioni di George Maciunas (secondo il quale tutto è arte e l'arte deve occuparsi anche di cose insignificanti, deve essere divertente e accessibile a tutti) e di Dick Higgins (che sostiene che  Fluxys è un'idea, un modo di vivere, un gruppo di persone non fisso che compie fluxuslavori).
Lo spirito libero del gruppo fa si che in ogni azione ed in ogni opera confluiscano linguaggi quali la pittura, la scultura, l'happening, la danza, la musica, la poesia, il teatro, la tecnologia.
Fluxus è un movimento aperto a tutti e vi aderiscono numerosi artisti provenienti da tutto il mondo quali Nam June Paik, George Brecht, Wolf Wostell, Robert Filliou, Ben Vautier, Daniel Spoerri, Yoko Hono, Joseph Beuys, La Monte Young, Henry Flint, Charlotte Moorman, Robert Watts, Gianni Emilio Simonetta, Giuseppe Chiari, Sylvano Bussotti e il gruppo giapponese Gutai.
Il fine è quello di proporre un'arte totale dove la fusione tra i linguaggi possa originare una fluidità vitale, così come lo sono gli avvenimenti della vita quotidiana.
Prendendo spunto dalle avanguardie storiche, il movimento trova le sue radici in Dada e in Duchamp e cerca di coinvolgere tutta la realtà: Fluxus compie azioni in cui i vari linguaggi, insieme a gesti semplici della vita quotidiana (sedersi, respirare, parlare, fumare, ecc.) si intrecciano in una struttura dove arte e vita, in modo unitario, creano l'opera o l'evento.


Flux Wedding of George Maciunas e Billie Hutching (1978)
Particolare importanza assume in Fluxus la ricerca musicale che sfrutta la capacità di alcuni semplici oggetti di generare suoni (una teiera che fischia, il battito di un metronomo ecc.) i quali possono essere intrecciati con strumenti musicali per far nascere l'opera. 
Importante è la sperimentazione di John Cage che, anche se assume una posizione autonoma rispetto al movimento, elabora la propria teoria seguendo gli insegnamenti della filosofia zen. Egli elimina ogni tipo di coinvolgimento personale ed emotivo nella struttura musicale e nella sua esecuzione, mettendo in risalto la capacità del suono o del rumore di essere parte dell'opera come presenza della vita.
L'esecuzione dei brani composti dal musicista è determinata da elementi di volta in volta diversi, dove la varietà degli strumenti e degli esecutori produce risultati sempre nuovi.
Egli basa la costruzione musicale sulla struttura ritmica, sulla successione delle durate. 
Esplora anche il campo dei rumori, prova nuovi tipi di strumenti, soprattutto percussioni, conduce esperimenti con la musica elettronica ed utilizza formule matematiche per strutturare le composizioni.


Sonatas n. 1, 2, 3, 5 for prepared piano - John Cage
Nel settembre 1962, dopo la prima manifestazione organizzata da Maciunas a New York, ha luogo il Fluxus international Festspiele neuester Musik a Wiesbaden, organizzato dallo stesso Maciunas, cui seguono altre manifestazioni in tutto il mondo.
Sempre nel 1962 Maciunas inizia la pubblicazione degli Yearboxes in cui sono raccolte le testimonianze di tutti gli esponenti di Fluxys sparsi nel mondo.
Nonostante le varie personalità artistiche che partecipano al movimento, si può affermare che Maciunas è a tutti gli effetti l'ideatore, il teorico, l'editore, il promotore, l'organizzatore di Fluxus.








"Purgare il mondo dalle forme di vita borghese. Saper promuovere la Realtà.
(George Maciunas)







domenica 22 marzo 2020

Movimenti artisti: MINIMAL ART

La Minimal Art (termine inventato nel 1965 dal critico Richard Wollheim) è nata negli Stati Uniti agli inizi degli anni Sessanta, periodo in cui si stavano sviluppando due tipi di ricerca : la Pop Art tutta immagine e colore e la Minimal Art tutta riduzione dell'immagine e del colore.
La Minimal Art basa la propria ricerca sul concetto di "riduzione" e di "raffreddamento" dell'opera. All'esuberante opulenza delle forme urbane, dei media, delle immagini pubblicitarie, contrappone soluzioni formali che utilizzano per la loro struttura elementi con una geometria elementare e materiali naturali o industriali.

 Carl Andre
 Donald Judd
Robert Morrison
Cercando di ridurre al minimo l'impatto formale e cromatico delle forme del reale la Minimal Art utilizza elementi primari nonché colori neutri, differenti dai materiali ipercolorati e iperdecorativi che invadono le metropoli. 
Il gruppo della Minimal Art era composto soprattutto dagli americani Donald Judd, Robert Morris, Carl Andre, Dan Flavin, Sol LeWitt, Tony Smith, Walter De Maria, e dagli inglesi Anthony Caro, William Tucker, Philip King.
Il loro intento era quello di creare opere che realizzassero una totale sintesi tra forma-volume e colore e che tale sintesi sapesse inserirsi nel contesto urbano mantenendo inalterata la propria forza di elementare pulizia e rigore.

Tony Smith
Lavori soprattutto tridimensionali costruiti tenendo ferme le nozioni di spazio, geometria e ordine, dove il rigore ne diventa il collante: costruzioni realizzate con un elementare ma rigoroso impianto geometrico, dove i pieni e i vuoti costruiscono lo spazio dell'opera, che si avvale di elementi modulari semplici e basati su scansioni, ritmi ed equilibri regolari.

Sol LeWitt
Attenti alle tecnologie, i minimalisti ne utilizzano alcuni materiali per mostrare la possibilità che questi diventino elementi estetici. Ciò che deve essere sottolineato è la capacità dell'artista di avvalersi di elementi concettuali di derivazione industriale, quali il progetto inteso come idea e processo dell'opera, o i materiali (barre o trafilati di metallo, tubi fluorescenti) per definire un nuovo linguaggio estetico dove il silenzio della riflessione, il rigore del progetto, la pulizia della forma, l'essenzialità dei materiali, la neutralità del colore siano gli elementi fondanti.
Sono i termini "minima" ed "essenziale" che caratterizzano la Minimal Art, focalizzata sul proprio ritmo interno e sulla propria tensione costruttiva, un'arte che non deve preoccuparsi di chi guarda e chiede all'opera solo il piacere dell'occhio. Il piacere che essa propone è più intellettuale che visivo: è dall'intellettualità del progetto che derivano le sue forme essenziali realizzate sulla base di rigorosi parametri costruttivi.

Donald Judd
Dalla fine degli anni Sessanta all'inizio dei Settanta, molti artisti sia europei che italiani si sono ispirati alla Minimal Art ma per approdare a proprie esperienze artistiche. 
Si pensi ai gruppi francesi Support-Surface (composto da Luis Cane, Daniel Dezeuze, Claude Viallat, Vincent Bioulès, Marc Devade) o  BMPT (composto da Daniel Buren, Olivier Mossat, Michel Parmentier e Niele Toroni) che intendono la pittura come un lavoro autoriflessivo che indaga sui propri elementi, utilizzandola al minimo delle sue possibilità materiche, decostruendole

Claude Viallant
Daniel Buren

oppure agli artisti italiani che utilizzano materiali, forme e colori essenziali e primari per inserire nei loro lavori una riflessione non solo sull'arte ma anche sulla realtà, ponendo le forme artistiche in relazione con il mondo delle forme della modernità.
Tra quelli più interessati a elementi strutturali ricordiamo Rodolfo Aricò, Gianfranco Pardi, Giuseppe Uncini, Mauro Staccioli, Nicola Carrino, Livio Marzot, Massimo Mochetti . 

Mauro Staccioli
Giuseppe Uncini

mentre gli artisti Claudio Verna, Claudio Olivieri, Giorgio Griffa, Carmengloria Morales e Antonio Passa
Giorgio Griffa
 sono più concentrati sul problema della superficie pittorica.









"Fino ad un certo punto ho scolpito cose. Quindi ho capito che la vera scultura era la cosa che stavo intagliando e allora piuttosto che scolpire un materiale ho deciso di usarlo come una scultura nello Spazio" - Carl Andre