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giovedì 29 settembre 2016

DUSTMUSEUM.ORG - Oggetti e immagini di Piero Livio (L'antiquario detective, ovvero l'ingenuo collezionista)



Dustmuseum.org è il titolo sotto il quale dal 1970 Piero Livio seleziona, raccoglie ed assembla scarti e rifiuti destinati ad essere dimenticati.




Piero Livio incarna contemporaneamente l'artista, lo scienziato, il collezionista, il drammaturgo e l'antiquario.
Come artista sa calarsi con le sue opere nel contesto museale dando agli oggetti una dimensione contemporanea.
Come scienziato cataloga, conserva, schematizza e classifica il mondo circostante dando un nome e un senso, spesso filosofico, agli oggetti di differente natura  che si trova a comporre nel suo laboratorio, palcoscenico di una privata rappresentazione dell'arte.
Come collezionista crea legami fra le cose
più disparate che apparentemente non sono unibili se non attraverso il pensiero personalissimo del loro possessore.


Come antiquario è il vero detective sulle tracce dell'oggetto perduto, si fa interprete della storia e ne decifra i segnali.



Gli oggetti, costruiti con contributi occasionali, assemblati con fragili legature organiche di mollica, cera d'api e sottili fili di rame, sono racchiusi in ampolle e teche reali o spazi virtuali che tendono a stabilizzare una nuova realtà.
Gli assemblaggi si configurano come macchine simboliche atte a varcare i confini dell'ignoto e del subconscio.
Nel 1620 Sir Francis Bacon illustra il frontespizio della sua Instauratio Magma con l'immagine di una nave che, a vele spiegate, si dirige verso l'orizzonte di un mare vasto e agitato. Quest'allegoria del sapere ci suggerisce l'idea di un uomo che intraprende il grande e avventuroso viaggio del sapere e della conoscenza, spinto dalla curiosità attraverso oggetti provenienti dai "nuovi mondi" , ignoti e non disegnati sulle carte, che colleziona oggetti provenienti dai luoghi estremi della geografia.
Qualche volta le navi fanno naufragio, qualcuna porta a riva ricchi bottini, altre rilasciano nel mare i tesori trasportati. Sull'acqua allora ondeggiano i relitti, nei bassi fondali si  arenano le conchiglie e sulla battigia deserta gli oggetti si accumulano e si confondono formando famiglie casuali e bizzarre.
Piero Livio, interprete del naufragio intellettuale, riprende poeticamente e in modo leopardiano quella dolcezza del lasciarsi naufragare come in un sogno al limite del risveglio in cui la percezione della realtà è come entrare in un tunnel che ci conduce ad un mondo fantastico


"In una lama di sole, milioni di oggetti volanti emergono dal nulla, un polveroso universo, una ricchezza celata di differenti nature, colori, misure, tensioni, attrazioni pulsioni; un pacato caotico vortice, un parabolico andare in cerca di pace che pace non è...."

Mueo Ettore Fico Torino - fino al 2 ottobre 2016

giovedì 22 settembre 2016

Roma Pop City 60-70



Al MACRO di Roma fino al 27 novembre 2016 in esposizione oltre cento opere, fra dipinti, sculture, fotografie, installazioni e anche film d'artista e documentari che hanno come protagonista la Roma dei primi anni Sessanta, trasformata e rivissuta mediante l'immaginario visivo degli artisti della cosiddetta Scuola di piazza del Popolo.

Piazza del Popolo - Roma

Protagonista della mostra è la città di Roma, con i suoi monumenti, le sue strade, i suoi scorci urbani, la pubblicità e la grande cartellonistica che già alla fine degli anni Cinquanta andava invadendo lo spazio del suo paesaggio.
La città da interpretare e da intendere anche come ambiente, vita, cultura e società, collegata alle nuove tecnologie industriali, produttive e costruttive così come a quelle espressive e del mondo dei media. Il cinema prima di tutto, con l'imperante egemonia tecnica, creativa ed estetica di Cinecittà, ma anche la televisione, nuovo schermo e filtro che, in questo periodo, inizia ad entrare nella realtà pittorica e quindi espressiva degli artisti.
Gli Artisti presentati appartengono a quel microcosmo creativo ed esaltante della cosiddetta "Scuola di piazza del Popolo", una denominazione ormai superata negli anni dagli stessi protagonisti e che è andata circolando, negli anni Sessanta, soprattutto per esigenze giornalistiche o per meglio dire critico-giornalistiche. Un'etichetta che però non chiude e fissa quella che è l'estrema libertà creativa e inventiva di questi stessi artisti.
Nel nucleo centrale di piazza del Popolo sono presenti Franco Angeli, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Tano Festa, Jannis Kounellis, Francesco Lo Savio, Fabio Mauri, Mimmo Rotella, Mario Schifano e Cesare Tacchi, un posto a parte è per Titina Maselli che per prima ha interpretato, con i colori acidi e fluorescenti le periferie urbane come nuovi segni creativi del paesaggio urbano, fra Roma e New York.

Camion 1960-65 Titina Maselli
Gino Marotta
Continuando con Gino Marotta e Giuseppe Uncini e la loro sperimentazione materico-industriale, rivolta alla imitato della natura artificiale/artificiosa con il primo e alla costruzione dell'"oggetto" come significante estetico per il secondo.

Giuseppe Uncini
E ancora Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo e Renato Mambor, 

Giosetta Fioroni
Sergio Lombardi

                            
                          Renato Mambor











Gianfranco Baruchello
Così come su altro versante, linguistico ed estetico, risulta inevitabile la presenza di Nanni Ballestrini e dei suoi collage/proclami politici. 
In qualche modo eccentrici, fuori tempo, le presenze di Gianfranco Baruchello e Luca Maria Patella a latere quindi della "piazza", ma perfetti per contestualizzare il nuovo nucleo visivo, concettuale, filmico e fotografico che in questi anni del resto ha avuto sempre più impulso e materia creativa.
Luca Maria Patella
Per finire con Pino Pascali che stigmatizza la nuova situazione di apertura verso dell'arte verso l'ambiente. 

Cinque bachi da setola e un bozzolo 1968
Al di là del quadro, della cornice quindi e della pittura, fino all'inclusione dello spettatore nell'opera d'arte, in corsa verso il successivo decennio.
Una nuova realtà artistica internazionale che ha dato vita, con il superamento della pittura Informale degli anni Cinquanta, ad un immaginario fortemente attratto dal contesto urbano e dalle icone della società e del consumo di massa, ma anche dal recupero dell'immagine e della figurazione storica dei movimenti italiani del primo Novecento, su tutti il Futurismo e la Metafisica.

Uomini statistici (fondo blu) 1961 - R. Mambor
Del resto sono proprio i nuovi miti, le esigenze del nuovo ceto urbano nell'epoca del boom economico, che in parte spingono questi artisti ad interagire con la vita stessa della popolazione.





mercoledì 21 settembre 2016

Federico Piccari AMIANTO




Alla Fondazione 107 a Torino, fino al 20 novembre 2016 è visitabile la mostra antologica dell'artista torinese Federico Piccari dal titolo "Amianto".


Un percorso espositivo che accompagna attraverso la ricerca e la sperimentazione di tecniche e materiali che l'artista ha sperimentato ed utilizzato dal 1990 ai giorni nostri.  Silicone trasparente, peli di barba, capelli, resine, carta abrasiva, candeggina, timbri e per ultimo l'amianto che hanno dato vita ad opere in bilico tra la scultura e la pittura.
L'utilizzo dei materiali, in una "pittura di processo" è dettato da una forte connotazione e specificità intrinseca al materiale prescelto che entra dichiaratamente nell'opera completandone la percezione e la comprensione.
Anche il tappeto è protagonista sin dagli anni Novanta, tappeti a cui viene sostituito il naturale ordito tessile con le pietre,



le scarpe, le piastrelle fotografiche, le bottiglie ed i vetri, le cravatte, i giornali economico-finanziari, oggetti recuperati, tutti elementi che rendono il tappeto un territorio circoscritto e definito, luogo di incontro  ma anche di conflitto partendo dalla sua valenza interculturale. Nello spazio delimitato dal tappeto nascono situazioni e formule di convivenza  forzata talvolta implose su un territorio che è già reso ostile dai materiali utilizzati per la sua realizzazione.



Uno dei video del trittico "My Time" che ben rappresenta la difficoltà di
conservare  il proprio spazio nel timore che altri occupino ciò che si è
conquistato e come il territorio (il tappeto su cui si volge la performance) 
venga modificato e disgregato dalla presenza umana in continuo passaggio.
Il tappeto diventa così spazio metaforico della società


E' un'estetica del rischio quella che cifra molti lavori di Federico Piccari, in particolare i cicli con i tappeti e più recentemente quello con gli ondulati in eternit, il cui pericolo non è semplicemente rappresentato, ma appartiene alla concretezza materiale delle opere e al rischio che potrebbero far correre al pubblico e all'artista stesso. 

E' ben noto quanto l'eternit sia un materiale ad alto rischio cancerogeno


AMIANTO 2015
(amianto foglia oro, foglia argento, foglia rame)
mentre i tappeti di sassi, su cui si articolano delle performance di personaggi a piedi nudi di diversa provenienza etnica che li attraversano o vi si spogliano, comportano la concreta possibilità di ferirsi.
Il rischio ed il pericolo  però possono essere rappresentati anche dal rapporto con l'altro, dall'ansia di relazionarsi con gli altri, di stabilire un contatto o, al contrario, di negarlo.
In un'epoca di globalizzazione, migrazione ed integrazione, la riflessione estetica di Piccari si divide su due binari: la presa di coscienza di uno stato di allerta generale e la necessità di un ritorno all'ascolto del corpo, dei suoi slanci, delle sue capacità percettive. Da un lato un aspetto socio-politico, dall'altro puramente fisiologico, tutti aspetti che nell'opera dell'artista viaggiano in parallelo ormai da quasi vent'anni.

Già nei primi anni Novanta la serie dei "siliconi", gli uomini trasparenti attraversati dalla luce, hanno dato i primi segni di interesse per la condizione degli individui reclusi ai margini della società, invisibili, fragili e inconsistenti agli occhi degli altri, incapaci di coglierne un'identità.
Nel 1998 i "ritratti con peli di barba e capelli" potevano generare una repulsione nello spettatore: entrare in contatto con i residui organici dell'altro può esser destabilizzante. 
Così Piccari ha cominciato a porsi il problema dell'accettazione da parte dell'uomo delle differenze altrui alludendo al disagio/ipersensibilità di un soggetto al contatto con gli altri, un male dei nostri tempi, tipico della società occidentale messa in crisi dal doversi confrontare con altri popoli, dai flussi migratori, con diversità culturali che innescano meccanismi di accoglienza o discriminazione.
Per quanto riguarda le opere tridimensionali, la sua ricerca inizia con i lavori degli anni '90, strutture minimaliste (elementi geometrici con illuminazione interna) e la variegata serie dei Colletti
Sono di dieci anni fa i quadri in cui appaiono essere umani allo stato fetale che si muovono, come fluttuanti nel liquido amniotico, in contenitori e su superfici impregnate di cera. Questi personaggi diafani protagonisti anche di allegoriche scene che rimandano a scene di violenza e di guerra: ci sono feti che maneggiamo mitra, che vagano in mezzo a carri armati, che sono maculati come le tute mimetiche. Tutto appare in una dimensione apparentemente ludica, ma il cortocircuito fra nascita e morte diventa quasi subito molto inquietante
Déjeuner sul l'erbe - 2007
L'articolata ricerca di Francesco Piccari è contraddistinta da un filo rosso comune definibile come una sottile ma profonda inquietudine di matrice umanistico-esistenziale, che nasce dalla tensione dialettica, sempre irrisolta e contraddittoria fra presenza ed assenza, fra interiore e mondo esteriore, tra realtà e apparenza, e qualche volta angosce. In lui la volontà vitalissima subisce continuamente degli slittamenti verso i territori suggestivi ma inquietanti dell'indeterminato.
Zattera III - cotone, camicie, resine epossidiche,
smalto da carrozziere, legno
Forse per lui il destino dell'uomo, fin dalla sua fase prenatale, è quello di un viaggio verso il nulla, 
che può addirittura andare inesorabilmente alla deriva come la sua Zattera (accumulazione di camice e cotone su legno in memoria dei morti delle Twin Tower), sorta di contemporanea riedizione di quella dipinta da Gericault.
Anche se l'impegno per uscirne fuori è sempre in cima ai suoi pensieri, Piccari sembra quasi rassegnato al fatto che la condizione degli uomini è fatalmente quella di essere nel nulla dell'esistenza.
























domenica 11 settembre 2016

Curiosità: La pesatrice di perle - Jean Vermeer



Nel celebre dipinto di Vermeer, La pesatrice di perle (1664 - National Gallery  Washington) molti sono i significati che sono stati attribuiti al soggetto scelto dal maestro di Delft. 
Una giovane donna, forse incinta, in una stanza in cui la luce filtra dalla tenda tirata, è intenta nell'atto di pesare con una bilancia qualcosa di prezioso, forse oro o forse perle, che vediamo sparsi sul tavolo.
Un esame più approfondito degli strati pittorici ha rivelato che i piattini della bilancia sono, in realtà, vuoti.
Secondo lo studioso Gustaw Herling, la donna è incinta e indossa una mantellina di ermellino: egli ipotizza che l'artista fosse affascinato dal lento formarsi della perla dentro la conchiglia, paragonando questo evento naturale a quello della maternità a cui evidentemente allude lo stato di gravidanza della donna con bilancia. 
Alle sue spalle un dipinto con il Giudizio Universale sembra chiudere in un tempo circolare la vita dalla nascita alla morte, fino alla salvezza o alla condanna delle anime, le quali, come sappiamo, nelle rappresentazioni del Giudizio erano spesso poste su uno dei due piatti della bilancia, per decretarne il destino finale.
Un'altra interpretazione considera la donna come immagine secolarizzata della Vergine Maria che, in piedi davanti al Giudizio Universale, assume il ruolo di colei che intercede e di madre pietosa.
Il modo con cui la mantellina si chiude sul ventre arrotondato ricorda l'immagine con la quale, nell'affresco di Monterchi, Piero della Francesca ha raffigurato la Madonna del Parto: con un grande spacco bianco che divide il ventre in due e sul quale la Vergine appoggia la mano in un gesto di protezione.








(visitate il Museo delle Bilance a Monterchi è molto interessante https://www.google.it/?gws_rd=ssl#q=museo+delle+bilance+monterchi)


sabato 10 settembre 2016

LA LEGGENDA DELLA VERA CROCE di Piero della Fracencesca

Il soggetto delle storie rappresentate da Piero della Francesca ne "La leggenda della vera croce" (affreschi realizzati nella cappella maggiore della Basilica di San Francesco ad Arezzo) deriva dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, risalente al XIII secolo, che narra la storia miracolosa del legno della Croce di Cristo.
Si tratta di una leggenda popolare, ricca di spunti narrativi e caratteristica di un certo gusto miracolistico medioevale ma che ha consentito al pensiero cristiano di collegare il Vecchio ed il Nuovo testamento e di mostrare continuità della Rivelazione dalla Genesi al Vangelo.
Il ciclo di Piero prende avvio dal tema di Adamo che aspira alla vita eterna.

Morte di Adamo - L'albero della Croce nasce dal seme della redenzione posto sotto la lingua di Adamo morto: sulla destra, Adamo in punto di morte, tra le braccia di un'Eva vecchissima, prega Seth (nudo di spalle che si appoggia ad un bastone) di implorare dall'angelo del Paradiso l'olio che gli era stato promesso per la sua salvezza. In secondo piano si scorgono Seth e l'angelo dinanzi alla porta del Paradiso. L'angelo porge a Seth il seme anziché l'olio.
A sinistra, Seth pone il seme della redenzione nella bocca di Adamo ormai morto e circondato da testimoni di molteplici generazioni. Una donna grida il suo dolore sollevando le braccia al cielo. Le due scene sono separate da un albero drammaticamente spoglio.
Visita della regina di Saba al re Salomone - Secondo la leggenda medioevale, il seme fruttificò diventando un albero che visse fino al tempo di Salomone. Costui, colpito dalla sua bellezza, lo fece tagliare affinché servisse per la costruzione del tempio di Gerusalemme, ma poi non si seppe come usarlo nell'edificio sacro. Salomone allora lo fece gettare tra le due sponde del fiore Siloe perché servisse da ponte.
La regina di Saba, in viaggio per visitare Salomone e conoscere la sua sapienza, nell'atto di attraversare il ponte viene colta da un'improvvisa rivelazione  e comprende che si tratta del legno della Croce sulla quale verrà crocifisso il Salvatore:  rifiuta di calpestarlo e cade in ginocchio tra lo stupore del suo seguito.
Piero rappresenta la regina di profilo con le mani giunte, circondata da dame vestite con abiti sontuosi. Due alberi rigogliosi si stagliano contro il cielo pallido, dominando il gruppo delle dame e quello degli scudieri. Figure di cavalli e di cavalieri si sovrappongono con studiate alternanze.
Sulla scena di destra la regina è entrata nel palazzo di Salomone: stringe le mani del re e sembra volergli comunicare la sua tristezza.
Dignitari ed accompagnatori formano gruppi equilibrati ai lati del re e della regina sotto un portico corinzio; una colonna scanalata, precisa come se fosse un disegno architettonico, separa le due scene.
Il trasporto del sacro legno - Salomone fa rimuovere il ponte e seppellire la trave che dovrebbe causare la fine del regno degli Ebrei.
Piero organizza la scena con grande solennità: essa prefigura la scena del trasporto della croce dove l'operaio simboleggia il Cristo che la porta. Sorprendente l'interesse per i particolari, vengono infatti dipinte tutte le venature del legno, senza lasciar nella al caso e senza dimenticare alcun dettaglio: si potrebbe dire che Piero sia un pittore della realtà.
L'Annunciazione - A destra la Vergine, a sinistra l'angelo, il tutto dominato dal Padre Eterno. Forse la Vergine è la rappresentazione di sant'Elena, l'imperatrice madre di Costantino che Piero dipinge  come l'eroina di una seconda annunciazione, quella del Ritrovamento della Vera Croce?
Non lo sappiamo ma il ciclo prosegue proprio con Il sogno di Costantino - Alla vigilia della battaglia contro Massenzio, il principe, addormentato nella sua tenda e protetto dai suoi soldati riceve in sogno un messaggio divino che lo sollecita a porsi sotto la Croce per avere ragione del nemico.
La notte nebbiosa è illuminata dai forti contrasti di luce e di ombra che si riflettono sui personaggi, la sperimentazione luministico-cromatica di Piero raggiunge il suo culmine: all'interno di una tenda spaziosa giace l'imperatore immerso nel sonno, seduto su un ripiano investito dalla luce, veglia presso di lui un servitore sognante rivolto verso lo spettatore. Le due sentinelle in primo piano emergono dall'oscurità rischiarate solo lateralmente dalla luce che cade dall'alto proiettata dalla figura dell'angelo che tiene in mano la croce.
Vittoria di Costantino su Massenzio - Lance alzate, stendardi che schioccano al vento, cavalli neri e bianchi, ma più che una battaglia sembra quasi una parata militare. Qui "il tranquillo, il solenne Piero sa scorciare, non muovere" (A. Venturi, Storia dell'arte italiana).



Tortura dell'ebreo - E' una delle tappe della ricerca di Elena per trovare la Vera Croce.  Elena prega un ebreo di nome Giuda di rivelare il luogo in cui si trova la Croce. L'ebreo rifiuta e viene gettato in un pozzo; morso dalla fame, supplica di essere tirato fuori. Viene fatto. Eccolo sospeso sulle funi di un'impalcatura. Bonifacio, siniscalco dell'imperatrice, lo afferra per i capelli. Ancora una volta Piero rappresenta la realtà (l'uomo che soffre, i due uomini che insieme tirano la corda, uno dei quali si è sfilato le maniche per lavorare meglio) e descrive la scena nei minimi particolari della figura umana  (la mano che si aggrappa alla balaustra del pozzo). E' una pittura che esprime il senso del concreto,  qualità sostanziale per una pittura autentica che ha fatto di Piero un artista completo.
Ritrovamento e verifica della Vera Croce - A sinistra l'imperatrice, in piedi, assiste agli scavi circondata da spettatori. Vengono ritrovate le croci. 
A destra, la verifica di quale sia quella su cui è stato crocifisso il Cristo: un giovane seminudo resuscita miracolosamente toccato dalla Vera Croce. Elena, accompagnata dalle sue dame, in ginocchio, prega davanti alla fossa di fronte ad una  basilica decorata con tondi bianchi su fondo nero, di sorprendente originali architettonica, a fianco la Gerusalemme medioevale che domina con la sua concretezza marmorea la scena del ritrovamento.
La sconfitta di Cosroe da parte di Eraclito - Trecento anni dopo il ritrovamento della Croce, Crosoe, re di Persia, la sottrae a Gerusalemme. Eraclito lo sconfigge e la riconquista.

Un'altra battaglia diversa dalla precedente per la mischia furibonda che rappresenta. All'estrema destra, sotto il baldacchino di Crosoe, appare la decapitazione del re persiano. Attorno al sovrano inginocchiato, ormai pronto a ricevere il colpo mortale, sono rappresentati tre membri della famiglia Bacci. Si tratta dei rappresentanti dei tre rami nei quali si suddivideva allora la famiglia impegnata a pagare l'opera di Piero.
Ritorno della Croce a Gerusalemme - Nell'episodio conclusivo della Legenda, Eraclitovincitore (figura quasi perduta per il distacco dell'intonaco) è scalzo e privo dei propri vessilli imperiali, con un seguito di sacerdoti greci e armeni con strani copricapi (in ricordo forse del concilio di Firenze del 1439) riporta la Croce a Gerusalemme.  Queste immagini provengono da un mondo di sogno che rimane pur sempre tangibile, quasi familiare. A destra, alcuni personaggi inginocchiati, le mura della città con le alte torri, ai lati della Croce due alberi si stagliano su un ampio cielo dalle diverse tonalità. 


L'unico documento conservato che allude alla data conclusiva del complesso murale è un contratto del 1466, in cui la compagnia aretina dell'Annunziata, commissionando un gonfalone a Piero della Francesca, qualifica l'artista come colui "elquale à dipinto la chapela maggiore di San Francesco d'Arezzo". A questa data quindi gli affreschi erano certamente già terminati, ma l'ipotesi più credibile è che il ciclo fosse già concluso entro il 1455.
Quest'opera suscitò all'epoca una profonda commozione e sin dal 1466 fu citata come straordinaria. A partire da quella data Piero fu considerato un grande pittore e la sua fama fu universalmente riconosciuta.