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mercoledì 30 novembre 2016

PROTOBALLA - La Torino del giovane Balla - GAM Torino






Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871 in via Moncalieri  nel
poverissimo borgo del Rubatto posto lungo le rive del Po proprio sotto il monte dei Cappuccini. 
Nel borgo, che probabilmente prese il nome dalla famiglia che un tempo ne deteneva i terreni, venivano svolte attività legate al fiume ed in particolare era significativa la presenza di lavandai e lavandaie.


Alcune foto presenti in mostra ci mostrano i borghi come erano all'epoca: sono gli scatti di Mario Gabinio, giovane fotografo amatore, anch'egli torinese e coetaneo di Balla. Egli produsse una raccolta fotografica documentaria dal titolo "Torino che scompare" che presentò nel 1910 alla prima Esposizione Internazionale della Società Fotografica Subalpina. 
Gabinio concentrava l'attenzione sulla realtà dei sobborghi torinesi e i vicoli del centro storico testimoniando, nella scelta dei soggetti e nel taglio quasi da reportage, una Torino quotidina e dimessa.










Questa raccolta dall'aspetto insolitamente anti-celebrativo, rappresentava una novità nel panorama della fotografia piemontese ed italiana ma si coniugava molto bene con la pittura locale dedicata in quegli anni alla città: lo dimostrano le opere di  Francesco Garrone in cui la minuzia dell'osservazione al binocolo e la predilezione tutta fotografica per le prospettive urbane restano un caso unico.
Dal 1886 al 1891 Giacomo Balla frequenta la Regia Accademia Albertina di Torino, ottenendo buoni risultati nel disegno dal gesso, dalla stampa, dalla statua e si iscrive al corso superiore di Ornato e Plastica (in mostra alcune fotografie testimoniano la presenza dell'Accademia Albertina all'Esposizione Nazionale allestita a Torino nel 1898).
Professore dell'Accademia dal 1889 è Giacomo Grosso che in quel periodo acquista la fama e l'autorevolezza che lo faranno protagonista della scena torinese per almeno trent'anni. Per gli allievi e per lo stesso Balla, Grosso rappresenta da un lato una sapiente e solida competenza tecnico-esecutiva, dall'altro una tradizione che mostra i suoi limiti e stimola la ricerca di alternative più moderne.
La difficile situazione famigliare ed economica obbligano Balla a precoci esperienze lavorative che lo mettono in contatto con il  mondo della tecnica: nel 1889 è presso il litografo Pietro Cassina e nel 1891 nello studio fotografico Bertieri. Quest'esperienza sarà importante per lui quanto l'educazione artistica, la fotografia infatti influenzerà il linguaggio figurativo di Balla fin dalle prime opere romane: taglio audace dell'immagine, freddezza della descrizione, chiaroscuro drammatico e un'attenzione al dato luminoso che condurrà naturalmente al divisionismo.
Un particolare rilievo per Balla assunse la conoscenza dell'opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo importante riferimento per il divisionismo che adotterà a Roma (dove si trasferisce nel 1895) e che, accanto al fondamentale viaggio compiuto a Parigi nel 1900, pone le premesse del suo divenire figura di punta della scena romana. Molti intellettuali infatti frequentarono il suo studio che divenne punto di riferimento anche per Boccioni e Severini suoi compagni poi nell'avventura futurista.
Su invito di Boccioni, infatti nel 1910 firmerà il Manifesto dei pittori futuristi e  due mesi dopo il Manifesto tecnico della pittura futurista. 
La mostra PROTOBALLA - La Torino del giovane Balla e' visitabile alla Galleria d'Arte Moderna di Torino sino al 27 febbraio 2017. Sono esposte anche opere di Federico Boccardo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Pilade Bertieri, Felice Carena e Antonio Maria Mucchi oltre a riproduzioni di documenti di Giacomo Balla conservati all'Accademia Albertina di Torino.


"Balla futurista torinese, altezza 1,60, anni 39, peso 67 ch., carnagione rosea, occhi cilestri, barba ramata, capelli castani, temperamento non si sa mai, mangia e veste a modo suo, conclusione prezzo al quadro lire 2000" (taccuino di Balla - note del 1910)



martedì 15 novembre 2016

TOULOUSE-LAUTREC La Belle Époque


A Palazzo Chiablese a Torino fino al 5 marzo 2016 sono in mostra circa 170 opere di Henri Toulouse-Lautrec(1864-1901),l'aristocratico artista considerato il più grande creatore di manifesti e stampe tra il XIX e il XX secolo, il pubblicitario ante litteram ma anche l'illustratore della vie moderne baudleriana, feroce caricaturista, colui che si è divertito a ritrarre la vita notturna di Parigi mostrando le affollate sale da ballo e i frequentatissimi caffè concerto.
Il suo stile è rappresentato dall'essenzialità delle forme copiata dall'arte Giappone e dall'importanza delle linea, cui egli approda dalla grande tradizione del disegno francese partendo da Ingres fino a Degas. E a quest'ultimo deve anche il gusto delle inquadrature di tipo fotografico.

L'orchestra dell'Opéra - Degas 1868

Divano Giapponese 1893



Nel suo vagabondare per le strade di Parigi incontra e frequenta altri artisti del tempo come Pierre Bonnard, Vincent Van Gogh, Maurice Denis.
Uomo del suo tempo con uno sguardo rivolto verso il futuro, l'artista lasciò il segno con il suo stile immediato e brillante.
In mostra litografie a colori come Jane Avril - 1893


manifesti pubblicitari come La passeggera della cabina 54 - 1895 e Aristid Bruant  nel suo cabaret - 1893, disegni a matita e a penna, grafiche promozionali e illustrazioni per giornali come La Revue Blanche del 1895 
diventati simboli
di un'epoca indissolubilmente legati alle immagini del visconte Henrie - Marie - Raymond de Toulouse Lautrec Monfa.







AROUND AI WEIWEI PHOTOGRAPHS 1983-2016 (Centro Italiano per la Fotografica Torino fino al 12 febbraio 2017



La mostra presentata da Camera mette in evidenza i diversi stadi del percorso artistico di Ai Weiwei orientando lo spettatore verso la comprensione della formazione del suo personaggio (considerato ormai un prodotto globale di origine cinese)  e stimolando una riflessione sul modo in cui   l'ambiente contemporaneo lo abbia trasformato. 
Lo spettatore non troverà le opere monumentali della mostra di Palazzo Strozzi a Firenze ma foto, video-interviste, documentari e alcune opere di piccolo formato.
Unica opera monumentale è Soft Ground ricordo della crisi di Piazza Tienanmen e rappresenta un momento clou nella storia cinese contemporanea. Per più di dieci anni, questi eventi ebbero impatto sugli artisti in tutto il Paese e tutt'oggi costituiscono un trauma ancora da superare.
Si tratta di un tappeto lungo 45 metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate dai carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino  che ricorda quelle dai carri inviati in Piazza Tienanmen durante le proteste del 1989. Man mano che camminiamo lungo i segni dei cingolati all'interno dello spazio espositivo, la dimensione e la portata dell'incidente storico si rivelano. L'artista è riuscito a trasportare in un altro contesto una vicenda storica di cui noi abbiamo solo sentito parlare, facendoci camminare nella storia per non dimenticare.
 

Lungo il muro, alla destra del tappeto, sono esposte 80 fotografie selezionate tra le 1000 della serie dal titolo New York Photographs 1983-1993: costituiscono una sequenza di momenti privati ed incontri che l'artista fece quando visse negli Stati uniti in quel periodo di tempo.
Dopo questa passeggiata introduttiva la mostra si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici.
Nella prima sala alcune opere video documentano, attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita, le radicali trasformazioni che investono Pechino nei primi anni 2000 presentando una città in continua metamorfosi.
Nella stessa sala è presenta una rara video-intervista dal titolo Before Ai Weiwei condotta da Daria Menozzi e risalente al 1995. Il documentario ci offre uno scorcio dei primi anni del ritorno in Cina dell'artista dopo il soggiorno newyorkese e conferma il decisivo contributo di Ai Weiwei all'interno del discorso intellettuale, culturale e artistico nella Cina degli anni Novanta, rivelando anche l'essenza del suo pensiero e della sua attività artistica durante quel periodo.
Vista dal finestrino dell'aereo, da New York a Pechino
La serie di 226  fotografie dal titolo Beijing Photographs 1993-2003 (Fotografie di Pechino, 1993-2003) presentate in quattro sale  testimoniano il ritorno dell'artista in Cina. 
Ai Weiwei è molto cambiato come lo è anche Pechino rispetto al momento in cui l'artista l'aveva lasciata. Come nella serie delle fotografie del suo soggiorno a New York ci invita a scoprire spazi privati: la sua casa in Dongsishisantiao e l'Est Village di Pechino.
Nella sala n. 5 troviamo l'immagine guida scelta da Ai Weiwei per riassumere e illustrare la mostra è The Forbidden City during the SARS Epidemic . In questo autoritratto l'artista è solo nella Città Proibita, svuotata dall'epidemia che ha isolato la Cina dal resto del mondo per sei mesi.



Ai Weiwei rimane solo in un luogo quasi spettrale l'unica presenza umana è la sua, quella dell'artista provocatore e controverso in atteggiamento di sfida del potere: la Città Proibita di Pechino, il centro del potere.
In mostra anche sculture di Ai Weiwei che seguono il tema autobiografico della mostra. Esse diventano simboli dello svolgimento della vita dell'artista nel corso di quarant'anni. I ready made e le opere in porcellana rappresentano le  molteplici capacità e le ricche sfumature espressive che l'artista utilizza.
One man show 
Ruyi
Free Speech Puzzle
Ogni scultura si manifesta come punto di riflessione, come una sospensione del tempo che i visitatori possono avvertire nelle sale della mostra.
L'ultima sezione offre un'anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei, Refugee Wallpaper, ovvero 17.000 immagini scattate dall'artista durante il suo continuo contatto con l'emergenza rifugiati.  
Il dramma della migrazione sta diventando spettacolo, ma vedere così tante immagini crea un'azione di voyeurismo che provoca un senso di disagio oppure ci permette di capire qualcosa di più di queste persone? 
Ai Weiwei vuole scuotere le coscienze, la sua arte è rivolta alla ricerca del significato più profondo dell'essere umano.




domenica 13 novembre 2016

AI WEIWEI LIBERO - Palazzo Strozzi fino al al 22 gennaio 2016




Firenze ospita la prima esposizione monografica italiana dedicata ad Ai Weiwei. Tutti gli spazi interni ed esterni di Palazzo Strozzi, compresi quelli della Strozzina, sono occupati da oltre 60 opere storiche e nuove produzioni, che  rappresentano circa trent'anni di lavoro dell'artista.
Partendo dagli anni newyorkesi (1981-1993)



quando l'artista cinese scoprì l'arte dei "maestri" Marcel Duchamp, Andy Warhol e Jasper Johns, alle grandi opere degli anni duemila fatte di assemblaggi di oggetti come biciclette e sgabelli, fino alle opere politiche e controverse che hanno segnato gli ultimi tempi della sua produzione artistica, ad esempio i ritratti di dissidenti politici in LEGO o i recenti progetti sulle migrazioni nel Mediterraneo.
La mostra è un'occasione per scoprire il genio creativo di Ai Weiwei con opere in cui si fondono riferimenti alla storia cinese passata e presente. Nelle sue opere è evidente l'indagine sul rapporto fra tradizione e modernità: attraverso la manipolazione di oggetti, immagini e metafore della millenaria cultura cinese, l'artista mostra infatti un rapporto ambivalente con il proprio paese, diviso tra un profondo senso di appartenenza - testimoniato dall'uso di materiali caratteristici quali il legno, la porcellana, la giada, il bronzo, il bambù - e un forte senso di ribellione.



Ma entriamo in mostra e vediamo alcune sale.
La prima sala della mostra FOREVER è occupata dall'installazione "Stacked"(impilate) presentata in un allestimento site-specific per Palazzo Strozzi: 950 biciclette, mezzo di trasporto molto usato in Cina. L'opera rinvia al ready-made con la "Ruota di bicicletta" di Duchamp del 1913. 
L'artista vuole sottolineare il problema dei trasporti molto sentito in Cina, ma separando (stacked) le biciclette (tutte marca Forever) dalla loro funzione (non hanno più catena e pedali), le configura come una sorta di labirinto simile alla rete di Internet e nel contempo l'architettura allude ad un arco trionfale o a un monumentale portale d'ingresso.
La sala SICHUAN è dedicata al tragico sisma del Sichuan di magnitudo 8.0 della scala Richter, che il 12 maggio 2008 provocò circa settantamila morti. Migliaia di studenti morirono nel collo delle scuole, ponendo il problema dei materiali scadenti utilizzati e della scarsa sicurezza degli edifici. All'indomani del terremoto Ai Weiwei e altri attivisti lanciarono un'indagine volta a scoprire le cause del massacro, rivelando casi di corruzione ed anomalie costruttive, un evento che ha fatto dell'artista una figura di rilievo mondiale per la difesa dei diritti umani.
La memoria del dramma è cristallizata in una serie di opere come Snake Bag formata da 360 zaini scolastici cuciti a formare un serpente che ricordano i moltissimi zaini visti dai Ai Weiwei sul luogo del sisma,
Rebar and Case costituita da contenitori in pregiato legno huali che evocano le bare e da riproduzioni in marmo bianco dei tondini in ferro rivenuti contorti tra le macerie.
La sala RENAISSANCE è dedicata alla rilettura del Rinascimento italiano: i poliedri "Divina Proportio" e "Untitled (Wooden Ball)" evocano i disegni eseguiti da Leonardo da Vinci per illustrare il trattato "De_Divina_Proportione" di Luca Pacioli del 1497





anche se prima fonte di ispirazione sono stati i giochi dei gatti che popolano lo studio dell'artista.
I ritratti di LEGO proseguono la serie dedicata ai dissidenti politici, per Palazzo Strozzi Ai Weiwei ha scelto quattro personaggi del passato legati a Firenze che hanno subito privazioni della libertà: Dante l'esiliato, Filippo Strozzi che i Medici bandirono per vent'anni da Firenze, Girolamo Savonarola giustiziato per l'opposizione al regime mediceo e alla Chiesa di papa Borgia e Galileo scienziato incarcerato e processato per aver difeso le proprie idee.
Nonostante l'uso di materiali preziosi e tecniche raffinate per la realizzazione degli oggetti presentati nella piccola sala OBJECTS, il rimando ad abusi di diritti umani e alla censura è evidente. 
Le grucce e le manette per esempio ricordano la prigionia di Ai Weiwei, arrestato il 3 aprile 2011 e detenuto per 81 giorni in luogo segreto. Nella cella non c'era spazio per la biancheria pulita e l'artista ha ottenuto dalla guardie sei grucce di plastica su cui appendere la biancheria ad asciugare dopo averla lavata.




Con le mattonelle in portcellana BLOSSOM l'artista richiama, attraverso l'uso della tecnica artistica cinese per eccellenza, la campagna detta dei "Cento fiori", che nel 1956 ha rappresentato un breve momento di apertura da parte del governo nei confronti della libertà di espressione.




Come molte produzioni di Ai Weiwei ha richiesto il lavoro di numerose maestranze, al pare di IRON GRASS, formata da ciuffi di erba di ghisa. La parola cinese per erba, cal, è anche un'imprecazione usata in Cina su Internet per eludere la censura. Questa installazione è altresì associata a Caochangdi, il distretto artistico nella zona nord-est di Pechino dove Ai Weiwei ha lo studio.
La sala SHANGHAI racconta le vicende dello studio che nel 2008 le autorità di Shanghai chiesero all'artista di costruire nella zona di Malu Town.
I lavori furono ultimati nell'ottobre 2010 ma a causa dell'attività politica di Ai Weiwei lo stesso governo municipale dichiarò che era stato costruito senza i necessari permessi e quindi doveva essere demolito.
L'artista, via internet, invitò molte persone a partecipare ad una festa il 7 novembre 2010 per celebrare contemporaneamente l'ultimazione dello studio e la sua demolizione. Per impedirgli di essere presente al party venne messo agli arresti domiciliari a Pechino: gli 800 ospiti mangiarono granchi di fiume, in cinese he xie, dal suono 

simile alla parola che indica "armonia" slogan del governo, ma che ha anche assunto il significato di "censura".
L'11 gennaio 2011 lo studio venne raso al suolo senza preavviso. Le autorità cercarono di impedire all'artista l'accesso durante la demolizione che avvenne in un solo giorno e senza preavviso, ma egli riuscì a salvare parti dell'edificio che gli permisero di creare Souvenir from Shanghai: cemento e macerie di mattoni posti a incorniciare il telaio di un letto della dinastia Qing.


Artista concettuale, perforare, pittore, fotografo, documentarista, designer, cantante, attore, paroliere, editore, dissidente politico, personaggio scomodo, impegnato contro ogni forma di censura, attivista in lotta per i diritti umani. Ma se si volesse definire in modo completo la sua multiforme personalità, la lista sarebbe ancora più lunga. 

Ai Weiwei (Pechino 1957) è  noto a livello globale per l'unione di attivismo politico e ricerca artistica attraverso opere spettacolari e provocatorie. E' stato ed è tutt'ora protagonista di mostre nei maggiori musei del mondo.
A Palazzo Strozzi una retrospettiva completa ed interessante  che ho raccontato solo in parte, consigliata anche a coloro che non amano particolarmente Ai Weiwei.


lunedì 7 novembre 2016

REALISMO, NEOREALISMO E REALTA'. ITALIA 1932-1968






Nave in disarmo, 1956 - Carlo Cosulich
Al MEF di Torino fino al 29 gennaio 2017 viene presentata al pubblico la Collezione Guido Bertero, una fra le più importanti raccolte internazionali di fotografia italiana vintage.
Il Museo Ettore Fico avvia con questa mostra un progetto triennale di approfondimento scientifico, culturale e divulgativo incentrato su una collezione che racconta la storia italiana fra società e costume ritratta da grandi fotografi nazionali ed internazionali come Ghirrri, Patellani, Capa, Cartier-Bresson e molti altri.


Gente al caffè di sera, 1952 - Henry Cartier-Bresson

I loro scatti raccontano i mutamenti sociali, economici e di costume che hanno riguardato il nostro Paese dagli anni Trenta al Sessantotto 


Domenica all'Idroscalo, 1960-1969 - Mario Cattaneo
e ritraggono l'Italia in un suo epocale cambiamento storico: sono gli anni del sorgere del fascismo, della marcia su Roma della nascita della moda, della distruzione della Seconda Guerra Mondiale, della povertà, delle migrazioni da sud a nord, della ricostruzione del Dopoguerra e del boom economico. Anni di fondamentale importanza che hanno ridefinito il carattere e l'identità di una nazione frammentata dal conflitto internazionale e dalle differenti realtà culturali.
La visione dell'Italia in continuo cambiamento sono messi in evidenza proprio dalla prima mostra "La fotografia Neorealista. Trasmigrazioni dalla realtà rurale alla nuova prospettiva metropolitana 1945-1968" che con i cento scatti presenti sono un documento visivo che mostra un periodo d'oro dell'arte italiana con cui il Paese si impone nell'immaginario collettivo internazionale. Un processo messo in atto dai linguaggi "neorealisti" della fotografia e del cinema dei grandi registi come Rossellini, De Sica, Visconti, Lattuada.

Fernandel sul set di "Il ritrono di Don Camillo", 1953 - Osvaldo Civirani
In mostra il racconto delle stazioni del Sud ritratte da Enzo Sellerio, la Puglia di Marco Giacomelli, l'Emilia di Nino Migliori, i ritratti dei braccianti i Fosco Maraini e i minatori di Federico Patellani.
Minatori. Carbonia (Cagliari), 1950 - Federico Patellani

Alla partenza della Cristoforo 
Colombo, 1959 - Stefano Robino
Ma guardando le fotografie ci accorgiamo che i momenti catturati dalla macchina fotografica rimangono ancora attuali, oggi come allora  gli esodi, le trasformazioni urbanistiche, la fragilità dei confini, il cambiamento religioso rimangono un problema nevralgico per il nostro Paese che rimane ancora un luogo di passaggio, di transito, di spostamenti e di innesti di popoli alla ricerca di pace e di benessere ... di libertà.