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martedì 31 gennaio 2017

Curiosità: L'ORIGINE DEL RITRATTO

Il ritratto del suo amante 1785 - Jean-Baptiste Regnault

Il ritratto, genere artistico antico e tra i più diffusi e amati nella storia dell'arte, sembra abbia avuto origine in Grecia.
Nel libro  XXXV cap. 43 della Naturalis Historia (77 d.c.) di Plinio il Vecchio è narrata la storia che attribuisce alla forza dell'amore la nascita del primo ritratto della storia, disegnato dalle mani di una ragazza.
La scoperta della pittura 1773/74
Eduard Daege
La leggenda racconta che la figlia di un vasaio di Sicione che lavorava a Corinto, era innamorata di un giovane che doveva partire per un lungo viaggio. Per paura di dimenticare il volto dell'amato la ragazza utilizzò l'ombra proiettata sul muro dalla luce di una lampada per tracciare i contorni del viso del giovane.
Successivamente il padre, che volle dare consistenza al ritratto, ne riempì i contorni con l'argilla e fece un modello che mise nel forno di cottura insieme al vasellame che stava producendo.
Sembra che questo primo ritratto della storia dell'arte fosse custodito nel Nymphaeum fino alla distruzione di Corinto da parte di Lucio Mummio Acaico.











giovedì 26 gennaio 2017

Le donne nell'arte: ANTONIETTA RAPHAEL (MAFAI)

Antonietta Raphaël Mafai 1918
Nata nel 1895 a Kovno, in Lituania, era figlia di un rabbino che la lascia orfana a otto anni. Nel 1905 si trasferisce a Londra con la madre.
Cresciuta si mantiene vendendo i suoi ricami e nel frattempo studia musica dando lezioni di piano ad altri per pagarsi le sue.
Nel 1919, rimasta sola dopo la morte della madre, la giovane artista si trasferisce a Parigi e poi, nel 1924, si reca a Roma dove frequenta i corsi dell'accademia e conosce Mario Mafai .
Nasce tra loro una passione intensa e dolorosa, intessuta in egual misura di vita in comune (avranno tre figlie) e di momenti di lontananza.
Antonietta e Mario 
Nel 1930 Antonietta e Mario si recano a Parigi, qui frequenta Chagall, De Chirico e Savinio e si dedica allo studio della scultura che la occuperà quasi interamente negli anni successivi, mentre la vocazione pittorica lasciata negli anni Trenta e Quaranta riemergerà negli anni Sessanta.
Antonietta Raphaël è stata uno degli artisti più visionari nel panorama italiano della prima metà XX secolo: l'immagine, nella sua pittura, è percorsa da colori caldi e luminosi che scopre al suo arrivo sulle coste mediterranee, lei stessa scrive "sono nordica, lituana; la mia adolescenza l'ho trascorsa in Inghilterra. Giungere sulle coste mediterranee è stato per me una rivelazione. Mi sembrava di sentire vibrare i colori attorno a me, direi quasi più di chi ha sempre vissuto nel Sud"
Mafai che beve
Protagonista della Scuola Romana, è sempre citata come terza dopo Scipione (Gino Bonichi) e Mario Mafai, ma Antonietta non è da considerare una figura minore poiché la sua pittura si individuano tratti unici e particolari.
Nelle sue tele dipinte tra il 1928 e il 1929 la figura è come miniaturizzata, riportata alle dimensioni di un'insegna di bottega, di ex voto, di un'illustrazione popolare con uno spiccato primitivismo. Lo prova anche l'opera Mia madre benedice le candele, dove il rito ebraico è interpretato come un atto sciamannino e malinconico e dove la donna in preghiera ha sul volto una piega amara


e lo provano ancora i paesaggi romani di questi anni, paesaggi fiabeschi, dove Roma appare come un fragile presepio e l'Arco di Settimio Severo all'alba sembra un fondale di cartapesta,



mentre la Veduta dalla terrazza di via Cavour ci consegna un Colosseo-giocattolo e una famiglia di casupole evanescenti.


Antonietta usa i colori in modo istintivo ma allo stesso tempo sapiente per rappresentare atmosfere europee con sapore medio-orientale, uno stile di pittura che in quegli anni influenza gli altri due pittori della triade: Scipione  e Mario Mafai. 
Il ponte degli Angeli - Scipione 1930
Senza nulla togliere all'importanza della Scuola Romana fra le due guerre, è bene ricordare le opere luminose e febbrili che Antonietta dipinge negli anni Sessanta come Giuditta: l'eroina biblica tiene la testa  gigantesca di Oloferne  
sopra la propria, come fosse un copricapo o una fionda. I suoi grandi occhi, il suo corpo dorato immergo nelle tinte vellutate di un paesaggio notturno scaldato dal fuoco del velo rosso, fanno di quest'opera un'immagine barbarica e insieme onirica e di Giuditta una figura dal fascino oscuro tra la magia e la creatura zingaresca. 
A questa vena visionaria la Raphaël  accosta una vena di forte realismo  che manifesta nella scultura.
Di solida e potete plasticità sono infatti i suoi bronzi e i suoi gessi che prendono le mosse da Maillol. La scultrice trasforma però la ricerca volumetrica purista del maestro francese in un'indagine sulla fisicità dei corpi, di cui rappresenta senza idealizzazioni la pienezza rigogliosa, ma anche i segni delle emozioni che 
la vita vi ha lasciato.
Sono opere capaci di raccogliere dentro di sé gli echi del passato, senza perdere l'immediatezza del presente: un esempio è il Ritratto di Emilio Jesi (1940) scolpito nell'onice del Brasile, che sembra emerso dalla profondità dei secoli come un dignitario egiziano, oppure La sognatrice (1946) che racchiude in sé un'anima dell'Estremo Oriente.

Il riconoscimento del suo lavoro arriva nel 1947 con la prima mostra importante al fianco di Mario Mafai nella Galleria Barbaroux di Roma, poi nel 1948 espone alla Quadriennale di Roma. Nello stesso anno è presente alla Biennale di Venezia dove tornerà nel 1950 , nel 1952 e nel 1954.
Gli anni Cinquanta sono anche gli anni dei viaggi: più volte in Sicilia, in Cina ed in Spagna. 
Nel 1960 viene pubblicata la prima monografia e il Centro Culturale Olivetti le dedica un'antologica ( 13 sculture e 39 dipinti).
Gli Anni Sessanta sono anni di grande attività nei quali produce sculture e grandi dipinti dedicati a temi biblici come il Cantico dei Cantici e Le lamentazioni di Giobbe, ma anche anni di dolore per la morte del marito che la lascia nel 1965   ed in memoria del quale l'anno seguente dipinge la grande tela intitolata Omaggio a Mafai.
Prima del 1970 realizza la fusione di tutte le sue sculture. Si dedica alla litografia mentre, con l'energia che ha caratterizzato tutta la sua vita, dipinge le ultime due grandi tele: Omaggio a Picasso e Concerto sul Lago di Vico, forse le più gioiose di tutta la sua produzione.
Muore a Roma il 5 settembre 1975.










domenica 22 gennaio 2017

SERGEI IVANOVICH SHCHUKIN e la sua straordinaria collezione


Dopo essere diventato capo della grande impresa industriale e commerciale tessile della famiglia in seguito alla morte del padre, S. I. Shchukin (1854-1936) inizia la sua avventura nell'arte a Parigi alla fine degli anni ottanta del Novecento quando, in Francia per motivi di lavoro, incomincia a comprare da Paul Durand-Ruel (il mercante degli impressionisti) dipinti di Pissarro, Renoir, Degas e soprattutto Monet, di cui arriva a possedere tredici opere.
Durante i viaggi a Parigi frequenta le gallerie e da Vollard acquista già nel 1896 i suoi primi due Césanne, che ancora nessuno voleva e un gruppo di dipinti di Gauguin.
Henrie Matisse
L'incontro fondamentale è nel 1907 con Matisse di cui trentasette sue opere entrano in collezione. 
Matisse gli presenta Picasso da cui comprerà ben cinquanta quadri del periodo blu, rosa e di quello cubista.
Le pareti del palazzo Troubetskoi di Mosca, in cui vive con la moglie Lyda  e i loro tre figli, vengono interamente ricoperte di quadri . Dal 1908 Shchukin apre la sua collezione al pubblico ogni domenica mattina, un pubblico che derideva le opere esposte, troppo all'avanguardia per quei tempi.



La collezione finisce di crescere nel 1914 e dopo la rivoluzione bolscevica, nel 1918, viene nazionalizzata. Nel 1922 è fusa a quella dell'industriale tessile Ivan Morozov (1871-1921) per diventare il Museo della pittura occidentale moderna. 
Nel 1948 per volere di Stalin la collezione Shchukin,  che comprende ben 275 opere di altissima qualità, viene destinata parte all'Ermitage di San Pietroburgo e parte al Mueso Puškin di Mosca.
Shchukin lascia la Russia e vivrà in esilio in Francia fino alla sua morte avvenuta il 10 gennaio 1936. 
Con la sua collezione che comprende capolavori di Monet, Degas, Renoi, Pissarro, Césanne, Rousseau, Bonnard, Vuillard, Derain, Vlamimck, Braque, Tatlin, Rodcenko, Goncarova, Malevic ma soprattutto Gauguin, Matisse e Picasso,


André Derain

Vladimir Tatlineil
Henri Rousseau
Henri de Toulouse Lautrec
Kazimir Malèvitch
Kazimir Malèvitch
Kazimir Malèvitch

Shchukin è stato, insieme ai fratelli Stein e al suo connazionale Morozov, uno dei grandi protagonisti del decollo dell'arte d'avanguardia all'inizio del XX secolo.
Dopo essersi interessato agli impressionisti, ormai affermati, grazie alla sua cultura e alla sua grande sensibilità estetica, ha fatto scelte rischiose dimostrando di aver compreso molto in anticipo quelli che sarebbero stati gli sviluppi futuri dell'arte nuova.



Fino al 20 febbraio 2017, 130 opere della collezione sono esposte nei quattro piani della Fondazione Louis Vuitton bellissimo edificio realizzato da Frank Gehry ora colorato dall'intervento artistico di Daniel Buren.











martedì 17 gennaio 2017

KOLLEKTSIA! Arte in URSS e RUSSIA 1950-2000




All'inzio del mese di gennaio 2017 durante la visita al Centro Pompidou di Parigi per la mostra di Magritte  ho potuto ammirare alcune delle 250 opere che la Fondazione Potanin ha donato al Pompidou. Le opere dei 65 artisti presenti nella collezione, sono un quadro ampio e rappresentativo dell'arte contemporanea in URSS e in Russia dal 1950 al 2000. 
La mostra, aperta fino al 27 marzo 2017, ha un percorso che segue i rivolgimenti della storia: la relativa libertà durante il disgelo, la successiva esclusione delle pratiche aderenti al realismo socialista, l'apertura al mercato artistico negli anni Ottanta e la fase postmoderna dopo la caduta del regime sovietico.
Tra i movimenti da cui provengono le opere esposte troviamo quelle degli artisti "non conformisti". Vladimir Yarkolev 


e Yuri Zlotnikow sono alcuni di coloro che alla fine degli anni Cinquanta, con citazioni delle avanguardie russe e lo stile informale, cercarono d'inventare il proprio linguaggio plastico stimolati anche dalle esposizioni internazionali permesse dalla politica Kruscioviana.
La loro produzione artistica, non conforme al realismo socialista fu però bandita durante gli anni '60 e soltanto negli  '70 si poté assistere alla nascita di due nuovi movimenti:  la scuola concettuale moscovita, caratterizzata dalla volontà di dare uno spazio predominante al linguaggio, lavorando all'intreccio tra la poesia, la performance e l'arte visiva e che prese un'ampiezza determinante sotto l'impulso di Ilya Kobakov




e la Sots art di Erik Bulatov, contestatore della propaganda tramite un approccio pop




Negli anni Ottanta l'apertura politica permise una diversificazione degli stili. Il ritorno alla pittura prese forme particolari come lo stile volutamente naif di Sergei Bugaev, oppure l'utilizzo delle arti applicate della cultura popolare presenti nella pittura di Larissa Zvezdotchetova-Rezun o ancora il rimando ai busti e alle medaglie dell'epoca romana di Boris Orlov













In quegli anni infatti la perestroika di Mikhail Gorbatchev diede impulso ad un'espansione creativa: molti artisti si aggregano in spazi occupati illegalmente a Mosca o a San Pietrogurgo e a poco a poco la cultura underground venne legittimata per poi affermarsi. Il mercato prese rapidamente forma negli anni 1990 e l'arte contemporanea cominciò ad istituzionalizzarsi. Nel 2007 il gruppo Aes+F è presente alla Biennale di Venezia e viene ufficialmente riconosciuto.
Gli artisti del 2000 presentano un'arte provocatoria a tutti gli effetti: in mostra a Parigi Aes+F sono rappresentati da un  lavoro digitale 



che presenta 14 volti di ragazze di cui 7 semplici studentesse e 7 autrici di omicidi mentre il gruppo Bernadette Corporation presenta l'opera del 2010 Nutten Chillen. 
La donazione della Fondazione Potanin al Centre Pompidou può essere vista come mezzo per far conoscere al mondo l'arte contemporanea russa ma anche l'ultimo atto per legittimare l'arte "ex non conformista" .










Artisti presenti nella collezione: Actions collectives, AES+F (Tatiana Arzamasova, Lev Evzovich, Evgeny Svyatsky, Vladimir Fridkes), Yuri Albert, Sergei Anufriev, Yuri Avvakumov, Erik Bulatov, Grisha Bruskin, Sergei Bugaev-Afrika, Champions du monde, Ivan Chuikov, Mikhail Roshal-Fedorov, Andrei Filippov, Rimma and Valery Gerlovin, Georgy Gurianov, Dmitri Gutov, Andrei Iakhnin, Francisco Infante-Arana, Inspection « Herméneutique Médicale », Ilya et Emilia Kabakov, George Kiesewalter, Vitaly Komar & Alexander Melamid, Valery Koshlyakov, Alexander Kosolapov, Oleg Kotelnikov, Nikolai Kozlov, Oleg Kulik, Yuri Leiderman, Igor Makarevich et Elena Elaguina, Vladislav Mamyshev-Monroe, Boris Mikhailov, Sergei Mironenko, Vladimir Mironenko, Andrei Monastyrsky, Mukhomor, Vladimir Nemukhin, Timur Novikov, Boris Orlov, Pertsy, Pavel Pepperstein, Viktor Pivovarov, Alexandre Ponomarev, Dmitri Prigov, Oskar Rabin, Mikhail Roginsky, Andrei Roiter, Sergei Serp, Igor Shelkovski, Viktor Skersis, Leonid Sokov, Eduard Steinberg, SZ, Boris Turetsky, Sergei Volkov, Vladimir Yakovlev, Vladimir Yankilevsky, Evgeny Yufit, Vadim Zakharov, Yuri Zlotnikov, Konstantin Zvezdochetov, Larisa Zvezdochetova-Rezun.

lunedì 9 gennaio 2017

Le donne nell'arte: SERAPHINE LOUISE DE SENLIS

Nell'ambito della pittura naïve ci sono pittori che hanno intuizioni fantastiche e inaspettate e fra questi anche qualche donna.
La più importate è Séraphine Louise Senlis, detta Séraphine.
Séraphine (1864-1942) nasce ad Arsy comune francese della Piccardia in una famiglia molto povera. Il padre che faceva l'orologiaio, muore quando lei aveva solo cinque anni, la madre lavorava nei campi e Séraphine custodiva un gregge di pecore, andando a scuola raramente.
Ha tredici anni quando lascia i suoi animali e trova un posto come domestica presso una famigli di Parigi.
A diciotto anni entra nel convento della suore di Saint Joseph de Cluny e vi rimani venti anni. Quando ne esce torna al suo paese ma non possedendo nulla non trova marito.
Trova lavoro come domestica presso Wilhem Uhde, un commerciante di quadri con una certa propensione, abbastanza rara all'epoca, per la pittura naïve.
Non è noto quando Séraphine abbia cominciato a dipingere. Allo scoppio della Grande Guerra Unde, che era suddito tedesco, lascia la Francia; quando torna alla fine del conflitto, scopre che Séraphine aveva prodotto molti quadri di cui non aveva mai parlato con nessuno. Uhde compra in blocco tutti i quadri di Séraphine: si tratta di splendide tele che la qualificano, secondo gli esperti, come la pittrice naïve più importante di ogni epoca.
Le Pommier
Intorno agli anni Trenta la sua mente vacilla. Vittima di una mania di persecuzione, va di casa in casa annunciando la prossima fine del mondo.
Nell'ospedale psichiatrico
Viene ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Clermont, dove muore. Al funerale non è presente nessuno.
Il dottor Galiot che l'aveva in cura, detterà la semplice epigrafe per la sua tomba: "Qui riposa Séraphine Louise Maillard, senza rivali, in attesa di una beata resurrezione".
A differenza di Henri Rousseau detto il Doganiere, Seraphine non si applica a rappresentare paesaggi o figure, ma esclusivamente un mondo di frutti, di foglie e soprattuto fiori, con una straordinaria ricchezza inventiva e una deliziosa minuziosità da ricamatrice.


Molto indipendente nel suo lavoro, Séraphine mandava indietro a Uhde i colori che questi gli procurava perché possedeva una tecnica segreta con cui otteneva la mistura dei colori e le lacche che davano un incomparabile splendore alle sue opere.
Oggi possiamo annoverare le sue opere tra le più rappresentative della pittura naïve, contrassegnata comunque da una visione onirica che, più o meno consapevolmente, la avvicina al surrealismo, come dimostrano i fiori che scrutano lo spettatore, come fossero occhi ma anche un costante ritorno ai prati fioriti della madre, prati mitici e mistici di un trauma mai superato.
A questa pittrice il regista Martin Provost nel 2008 ha dedicato un film intenso dal titolo Séraphine, vincitore di sette riconoscimenti alla 34^ edizione dei Premi César.
La pittrice è ben rappresentata nel museo d'arte di Senlis, nel museo di arte naïf di Nizza e nel museo d'arte moderna di Velleneuve-d'Ascq.


lunedì 2 gennaio 2017

GRANDE ONDA A KANAGAWA - Kanagawa oki nami ura


Scaturita dal genio artistico di Hokusai (1760-1849) agli inizi degli anni trenta dell'Ottocento, è l'immagine più nota dell'arte giapponese e fa parte della serie Trentasei vedute del monte Fuji .
Tre imbarcazioni stanno solcando un mare in tempesta, devono lottare con onde gigantesche, una delle quali si stacca dalle altre, si alza verso il cielo spumeggiando e arcuandosi come un artiglio.
I rematori, (simbolo della fragilità umana) nelle loro barche assecondano il movimento del mare, sottomettendosi alla forza della natura. 
Sullo sfondo compare il  monte Fuji, innevato, immobile, immerso nella notte, rappresentazione del porto sicuro. 
L'immobilità e il dinamismo degli elementi, la fragilità umana, la forza della natura ma anche la tenerezza e la pena verso l'uomo che, imperterrito, continua a sfidare da secoli la natura e a lottare per la propria quotidianità, sono condensanti dall'artista in un'unica immagine sintetica e bella.
L'artista rende sensazioni e pensieri in un disegno semplice, fatto di pochi colori piatti e intensi, realizzato utilizzando la prospettiva (veduta del monte Fuji) inusuale nelle opere giapponesi ma mantenendo l'asimmetria della scena, tipica dei quadri orientali ma rifiutata nella pittura occidentale dell'Ottocento.
Nella xilografia policroma compaiono due iscrizioni una è la firma dell'artista l'altra, in un riquadro, è il titolo dell'opera.
L'onda attirerà l'attenzione di molti pittori impressionisti colpiti dal modo in cui Hokusai ha saputo fissare il momento e la forma della natura.
Con queste nuove serie paesaggistiche Hokusai riporta in auge e rinforza un tema relativamente poco sviluppato, ad eccezione dei grandi dipinti di epoca classica. Lo diffonde tra la popolazione facendolo considerare ed amare. Le stampe giapponesi infatti potevano essere acquistate a basso prezzo e utilizzate per abbellire le case di coloro che non potevano permettersi opere uniche perché troppo costose.
L'Onda fu realizzata con il metodo della xilografia in circa 5000 esemplari di cui molti ormai persi. Sopravvivono poche copie in buono stato di conservazione, alcune di queste è possibile trovarle  in svariati musei sparsi per il mondo tra cui il Metropolitan Museum of Art di New York, la Biblioteca del Congresso di Washington, il Museum of Fine Arts di Boston, L'Honolulu Museum, il British Museum di Londra, La National Gallery of Victoria di Melbourne, il Rijksmuseum di Amsterdam, la Bibliotèque National de France di Parigi, il Museo d'Arte Orientale di Torino. Molte di queste copie appartenevano alle grandi collezioni private del XIX secolo e vennero donato successivamente ai musei.