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martedì 16 maggio 2017

DADA, L'ANTIARTE


Durante il conflitto mondiale e precisamente nel 1916,  nella neutrale Zurigo presso il Cabaret Voltaire, un gruppo eterogeneo di artisti ed intellettuali dà vita al movimento DADA.
Con questo termine che sembra sia stato trovato aprendo a caso un dizionario, si indica un evento in cui gioco, casualità e totale libertà sono gli elementi determinanti del fare artistico.
A differenza delle avanguardie che lo hanno preceduto e che hanno criticato l'arte e la società per ricostruirle, il movimento zurighese è spinto soprattutto da una totale volontà di contestare tutti i valori artistici e sociali del tempo, rifiutando la logica dell'opera che si inserisce nella produzione mercantile.
Dada ha una peculiarità perché non è una "forma d'arte" e non è sostenuto da un "programma" ma lo si può considerare un insieme di forme d'arte , con molteplici possibilità di orientamento ed interpretazione legate alle personalità degli artisti e ai luoghi di manifestazione (New York, Zurigo, Berlino, Parigi) per cui, come emerge dalle tante dichiarazioni teoriche che l'hanno caratterizzato, 
Tristan Tzara
cominciare dai testi di Tristan Tzara, Dada contemporaneamente afferma e nega, è contraddittorio per natura, vive degli opposti e non può essere definito unitariamente.
Dada è tutto e la negazione di tutto, è il caso e la regola, la libertà del gioco e il tentativo di dare ordine casuale al caos del mondo, è arte e negazione dell'arte. Dada cerca di uscire dalle strette regole della pittura, della scultura e della poesia.
Non è un fatto accidentale che il "non movimento" nasca e si sviluppi durante il periodo bellico e soprattutto in Svizzera e a New York luoghi meno coinvolti nel conflitto mondiale, in quanto la guerra ha messo in crisi i valori dell'Occidente, la sua struttura razionale, la sua capacità produttiva, la sua cultura e quindi anche l'arte.
Per i dadaisti l'arte non deve produrre valore, l'arte è puro fatto mentale, pura estetica, il nonsenso positivo e pertanto non può essere assimilata alla logica della moderna produzione di oggetti-valore (le opere) e deve essere svincolata dalla valenza economica. Essa ha il compito di contrapporsi alle logiche "razionali" che hanno portato alla crisi, alla distruzione di ogni ideale e alla guerra.
Sul piano formale i dadaisti criticano soprattutto l'impianto razionale dei cubisti, in particolare nella sua fase analitica, il suo eccessivo formalismo. Il più critico a riguardo è Marchel Ducamp con La meriée mise à nu par célibataire, même (1915-23), (1915-1923) o Grande Vetro. L'opera non è un quadro né un oggetto ma piuttosto una struttura, un congegno di immagini dipinte  su vetro, una macchina il cui funzionamento è puramente simbolico.
Il Dadaismo Zurighese si manifesta soprattutto attraverso manifestazioni scandalistiche, esasperate, volutamente caotiche, dove gli artisti intendono sottolineare l'impossibilità dell'arte di avere un qualsiasi rapporto con le logiche del reale che essi ritengono perverse.
Proprio per questo Dada è da intendersi come un'avanguardia negativa, in quanto non interessata ad incidere nel mondo  con la produzione di opere-valore. La totale casualità che contraddistingue il movimento porta gli artisti in una direzione antiarte, di antivalore, di antitecnica, di antiopera. Dada è proprio questa continua negazione.
Dal punto di vista tecnico e formale si assiste a particolari sperimentazioni che vanno dal ready-mades di Duchamp  quali la Ruota di bicicletta del 1913 e la Fontana del 1917 dove oggetti trovati vengono utilizzati così come sono oppure assemblati tra di loro 



alle pitture di Picabia, in cui improbabili meccanismi mettono in evidenza, attraverso la loro non-funzionalità, la crisi del pensiero funzionalista dell'epoca


Tableau peint pour raconter non pour prouver
ai rayogrammi di Man Ray rappresentati da immagini ottenute fotograficamente secondo la pura casualità. Si tratta di immagini in bianco e nero che mostrano in negativo solo le tracce lasciate dagli oggetti che l'artista ha posto a caso sulla superficie emulsionata. 



Le sculture di Hans Arp, a loro volta, non vogliono rappresentare nulla, sono puro gesto che si contrappone alla organizzata e razionale oggettività e funzionalità del reale


Relief concret 1917-17
L'artista Kurt Schwitters assembla oggetti, pezzi di carta, frammenti di tessuti e li fissa casualmente sulla tela



o li assembla in strutture tridimensionali fino ad arrivare alla monumentale opera Merzbau  (uno dei primi esempi di arte ambientale) che realizza nella sua casa di Hannover fra il 1923 ed il 1932, accumulando all'interno e all'esterno dell'edificio i materiali più eterogenei per una "costruzione del merz" come il titolo dell'opera stessa indica.



Schitters fa parte dei dadaisti tedeschi, fondato a Berlino nel 1917 da Huelsenbeck e al quale aderiscono fra gli altri George Grosz, Hannah Hoch e Max Ernst.


Apachen 1917 - George Grosz
Bozza per manifesto 1920 - Max Ernst



Collage con ritagli 1919 - Hanna Hoch
















Le opere dadaiste, siano esse bidimensionali o tridimensionali, hanno in comune la critica nei confronti del prodotto artistico, anche quello dell'avanguardia, che fino ad allora seguiva alcuni schemi più o meno tradizionali.
Dada critica gli schemi imposti, perché l'opera è puro atto estetico che coinvolge l'esistenza, è la possibilità di ridare vita all'ammasso sempre più incontrollabile dei materiali che la società scarta o accumula. Nelle opere si intrecciano oggetti che hanno già alle spalle un vissuto, e in questo intreccio, in questo concatenarsi casuale di forme e di segni, di vissuti diversi, si fa l'opera. Essa è come un organismo che vive e si sviluppa prendendo forza ed energia da ciò che accade e con cui ha a che fare.
Insomma non è la teoria del mondo che dà origine all'opera, ma all'interno della teoria, o antiteoria dell'arte, l'opera partecipa al flusso continuo degli avvenimenti che di volta in volta la arricchiscono.
I Dadaisti fecero del caso, o meglio, dell'oggettivazione del caso, una tecnica per realizzare le loro opere approppriandosi della formula per la poesia elaborata nel 1920 da Tristan Tzara. Questi affermava che "per fare una poesia dadaista si devono ritagliare accuratamente le parole di un articolo di giornale, metterle in un sacco, agitarlo dolcemente, estrarre i ritagli disponendoli nell'ordine casuale con cui sono usciti e copiare su un foglio il risultato". 
Come atteggiamento o come forma di approccio alla creazione, Dada non ha una reale conclusione, proseguendo non solo nelle realizzazioni di autori che hanno preso parte alle azioni dadaiste, ma riemergendo in seguito come possibile modello operativo nelle avanguardie del secondo dopoguerra, a partire dagli anni cinquanta.