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lunedì 27 aprile 2020

Donne nell'arte: EVA HESSE

Eva Hesse (Amburgo 1936 - New York 1969) si considerò un'artista sin da piccola, a sedici anni scrisse a suo padre: "sono un'artista. Credo che mi sentirò e vorrò essere sempre un po' diversa dalla maggior parte delle persone. E' per questo che ci chiamiamo artisti."
La sua famiglia lasciò Amburgo nel 1939 per sfuggire al regime nazista ed emigrò negli Stati Uniti. Lì Eva studiò prima alla Cooper Union School e poi dal 1957 al 1959 arti applicate alla Yale School of Art and Architecture, dove insegnava l'emigrato tedesco Josef Albers. Ma se il veterano del Bauhaus era favorevole ad un tipo di pittura rigorosamente razionale e sistematico, l'approccio della Hesse era più soggettivo ed influenzato dall'espressionismo astratto, come dimostrano i suoi lavori degli anni Sessanta.


Senza titolo - 1960
Senza titolo - 1960













Willem de Kooning, Arsile Gorky e Jakson Pollock erano il punto di riferimento costante del suo lavoro.
La svolta decisiva della sua carriera, cioè il passaggio all'opera tridimensionale, non avvenne però nell'ambiente newyorkese, ma durante una permanenza di quattro mesi in Germania, tra il 1964 e il 1965.
Eva Hesse ed il marito Tom Doyle
Il fabbricante di tessuti e collezionista d'arte Arnard Scheidt aveva invitato lo scultore americano Tom Doyle, marito della Hesse, ad utilizzare come studio l'edificio di una vecchia fabbrica a Kettwig an der Ruhr e durante questo periodo Eva  realizzò una grande quantità di grafici (che combinavano in modo surreale elementi meccanici ed organici) e quattordici plastici che furono esposti alla Kunsthalle di Düsseldorf nel 1965.
I plastici erano costruiti su pannelli di fibre rettangolari con gesso, cartapesta e fibre tessili come corde e lacci, e successivamente dipinti.  
In alcuni di essi erano presenti elementi che potevano muoversi nello spazio circostante come la corda viola in Up the Down Road (su per la strada) del 1965, un'opera che prefigura la sovversione della relazione convenzionale tra il piano, lo spazio e la cornice dell'immagine.



Il titolo potrebbe essere interpretato come il segno di una crisi personale di cui si trova traccia nei suoi diari, ma anche indicare il disagio provato nel tornare nel paese che aveva perpetrato l'olocausto e da cui lei e i suoi genitori erano fuggiti nel 1939.
Il ritorno a New York nel 1965 segnò la sua affermazione come scultrice. E' del 1966 Hang Up (appendere) una delle più suggestive opere dell'artista: una grande cornice vuota, completamente ricoperta di bende, alla quale era attaccato un filo d'acciaio che sporgeva verso l'esterno.


L'artista stessa definì questo lavoro come una delle sue  opere migliori dicendo che "per la prima volta era riuscita ad esprimere la sua idea di assurdo e le sue sensazioni più profonde".
Per molti dei suoi lavori fu difficile stabilire se si trattava di pittura o di scultura come nel caso di Contingent del 1969



costituito da otto vestiti di cotone immersi nel lattice e appesi in file parallele, perpendicolari alle pareti, oppure di Right After (subito dopo) sempre del 1969 


una composizione di corde di fibra di vetro bagnate nella resina e appese al soffitto per mezzo di uncini. Il titolo si riferiva al fatto che l'artista aveva lavorato a quest'opera subito dopo essere stata operata per un tumore al cervello che l'avrebbe poi uccisa nel 1970 a soli 34 anni.
La fragilità delle opere e i materiali deperibili utilizzati da 

Repetition Nineteen III - 1968
(fibra di vetro, poliestere, 19 pezzi diam. 30 cm. altezza 50 cm.)

Eva Hesse trovano un'analogia con la sua vita fatta di eventi tragici come il divorzio dei genitori e il successivo suicidio della madre, il fallimento del suo matrimonio e il suo stato fisico e mentale, ma la sua ricerca e l'originalità dei suoi lavori sono stati d'ispirazione per molti artisti.








"Ho cercato di dare vita ai contrasti più assurdi ed estremi. Questo per me è sempre stato più interessante della creazione di qualcosa di normale come le dimensioni e le proporzioni giuste." (E.H.)