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domenica 19 aprile 2020

Movimenti artistici: OP ART

Con il termine Op Art (Optical Art -  termine comparso per la prima volta nel 1964 su un articolo del Times più che altro in opposizione a Pop Art) si intende quel movimento composto da artisti europei, americani e sudamericani che a partire dagli anni Cinquanta cercò di fondare un nuovo linguaggio artistico utilizzando nozioni e strumenti scientifici.
I giovani che si avvicinano alle problematiche della visione iniziarono le loro sperimentazioni basandosi sulle ricerche dell'ungherese László Moholy- Nagy (formatosi nell'ambito del costruttivismo e poi attivo al Bauhaus) e del tedesco Josef Albers, (artista e anch'egli professore della scuola di Weimar).
Pur condividendo gli elementi centrali della ricerca dei due maestri dell'avanguardia - legate ai processi e alla loro relazione con la soggettività della visione - gli artisti optical (tra i quali Victor Vasarely, Getulio Alviani, Paolo Scheggi, Jesus Raphael Soto, Yakov Agam, Bridget Riley, Julio Le Parc, Carlos Cruz-Diez) basavano la propria ricerca su due punti fondamentali.
Il primo che non era possibile sottrarre l'individuo ai condizionamenti che lo avevano determinato, pertanto esso doveva essere libero delle proprie facoltà percettive; il secondo che la percezione rappresentava una parte, un momento dell'immaginazione intesa come attività di pensare attraverso immagini, inizialmente statiche e successivamente dinamiche.



La ricerca doveva avvenire su una sequenza di immagini determinata da un ritmo e la capacità di tali immagini di associarsi poteva avvenire nella sequenza stessa, nello spettatore o esternamente a lui, oppure essere determinata da meccanismi ottici o luminosi.  Tutto doveva basarsi su un totale rigore scientifico, sull'utilizzo di elementi geometrici semplici o complessi, su una profonda conoscenza delle teorie del colore e della percezione visiva e questo faceva diventare l'artista quasi uno scienziato.
All'inizio, attraverso l'utilizzo del bianco e del nero, di forme geometriche relativamente semplici, furono creati effetti ottici in cui la definizione della forma era precisa e dichiarata



poi si passò a sfruttare le leggi della teoria dei colori (contrasti simultanei, scale tonali digradanti o crescenti ecc.) e della forma con un'attenzione particolare a legare tra loro dinamicamente gli elementi in modo da costruire un insieme organico e non una somma di singoli elementi.
Partendo da questi elementi semplici gli artisti iniziarono a muovere il piano secondo una logica formale più libera, fino a suggerire il rilievo nella piatta superficie del quadro grazie ad effetti ottici






oppure con l'inserimento di elementi tridimensionali


Nel 1965 i risultati della Op Art furono presentati al Museum of Modern Art di New York nella mostra The Responsive Eye curata da William Seitz.
Il pubblico fu affascinato dagli infiniti giochi ottici che le opere proponevano, tutti gli abituali codici percettivi erano messi in discussione e sovvertiti al fine di dimostrare come fosse possibile far muovere un piano totalmente immobile utilizzando unicamente elementi di carattere percettivo.
Attraverso l'uso di materiali extrapittorici si cercava di porre in relazione forma e materia al fine di sottolineare la percezione che il nostro occhio ne deriva.
La mostra, che voleva ribadire la grandezza del movimento, segnerà però anche la fine dell'Optical Art: ai grandi artisti si erano ormai già affiancati troppi imitatori.