Translate

martedì 21 novembre 2017

FAUSTO MELOTTI Quando la musica diventa scultura - Castello di Miradolo fino all'11/2/2018


Fausto Melotti (Rovereto 1901-Milano 1986) fu scultore, pittore, ceramista, scrittore e grande appassionato di musica.
Nella sua adolescenza e giovinezza viaggiò molto, spostandosi da Rovereto a Firenze (qui ammirò il Battistero, Ghiberti, Donatello, Beato Angelico e Brunelleschi) poi raggiunse Pisa (dove visitò il Camposanto e vide le opere di Giovanni Pisano), Torino e Milano.
Durante questi spostamenti approfondì lo studio della matematica e della geometria conclusosi con la laurea in ingegneria elettronica al Politecnico milanese; perfezionò la sua conoscenza della musica, arte coltivata fin dall'infanzia (Melotti suonava in modo eccellente il pianoforte); frequentò corsi all'Accademia di Torino e di Milano e atelier di celebri artisti come Pietro Canonica a Torino e Adolfo Wildt a Brera.
La sua formazione fu dunque rigorosa ed al tempo stesso eclettica.
L'arrivo a Milano attorno alla fine degli anni Venti rappresentò per l'artista un passaggio decisivo. Alla galleria Il Milione, aperta nel 1930 da Peppino e Gino Ghiringhelli, conobbe e frequentò esponenti dell'astrattismo italiano. Luogo di sperimentazione, fabbrica di idee e ritrovo della gioventù italiana più artisticamente dotata e colta, al Milione furono esposte opere di Soldati, Veronesi, Fontana, 

Licini e dello stesso Melotti e poi lavori di Albers e Kandinsky 
e vi si trovavano informazioni sulle nuove avanguardie, su Paul Klee e Kandinsky, su Mondrian e Le Corbusier, su Calder e il costruttivasta russo Naum Gabo, si ascoltavano registrazioni sonore di Casella, Malimpiero, Ravel e Stravinsky e si potevano sfogliare le più importanti riviste d'avanguardia (Prélude, Art Concret, Abstraction-Création, Cahiers d'Art).
In quello stesso periodo conobbe Gio Ponti, strinse sodalizio con gli architetti razionalisti Figini, Pollini e Terragni (Gruppo 7), avvicinò Alberto Sartoris il quale, risiedendo in Svizzera e girando per l'Europa, era in contatto con Alvar Alto, Walter Gropius e Jean Cocteau.
Insieme a Lucio Fontana fu il più grande ceramista italiano del Novecento; a partire dagli anni trenta,fino agli anni ottanta, impastando acqua ed argilla, produsse svariate forme, in un percorso diverso ma parallelo  e non inferiore alle sue "sculture" filiformi di ottone e acciaio.


Dapprima, negli anni quaranta e cinquanta, molte le figure femminili, dove il barocco berniniano venne rivisitato in forme ondulate, lievi ed eleganti. Poi  nella serie delle Kore (Persefone) la forma si semplifica, si asciuga, diventando essenziale fusto, sagoma, colonna. Eleganti obelischi femminili in cui i volti ci ricordano le mirabili attese di Arturo Martini.


















Poi i teatrini, le sue canzoni intime e private, anche in terracotta

poi la serie dei bassorilievi, delle piastre, degli animali, dei cavallini, dei cerchi





dei vasi pavone, dei piatti delle coppe e soprattutto una vasta serie di ciotole e di vasi.


La partecipazione alla XXXIII Biennale di Venezia (1966) a cui parteciparono tra gli altri, Burri, Fontana, Munari, Soldati, Scanavino, Dorazio e Morandi, fu l'occasione di una riscoperta critica internazionale di Melotti, l'inizio di una nuova stagione di studi tesi a valorizzare le diverse fasi e creazioni dell'artista.
Nel 1967 in occasione della sua seconda mostra personale a Milano presso la galleria Tondelli presentò un gran numero di sculture in ottone e materiali vari; di quelle sculture rimaste nello studio e realizzate segretamente sin dal 1959 si era parlato solo nel 1962 sul n. 392 di Domus.


L'universo - 1967 ottone
Alla fine degli anni sessanta propose poi con un nuovo rigore e altre complicazioni semantiche le sue tipiche composizioni astratte: apparvero i Contrappunti, i Bassorilievi in acciaio inox lucidato e riflettente



Sono opere iper-moderne, di misure inedite per l'epoca, un formato già adeguato alle pareti del white cube, movimentate da lamiere ritagliate in forme geometriche, da losanghe, cerchi e triangoli, da tondini piegati  in linee sinuose, da sfere sospese, da barrette intrecciate a creare una griglia o una rete, archi, plasmano il vuoto, amplificano un senso di immaterialità.
In queste opere i simboli e le strutture geometriche agiscono come segni musicali: con Melotti viene posta in campo la musica intesa come esecuzione ritmica ed armonica che si dilata nello spazio, la vibrazione di cui filamenti, forme, ramificazioni del metallo sono l'eco o il risvolto figurativo che si prolunga oltre il limite definito degli oggetti prescelti.
I bassorilievi astratti della fine degli anni sessanta sono come spartiti da leggere e da contemplare. E' il ritmo segreto delle forme, dei piani, dei vuoti il punto di riferimento poetico e formale di Melotti: la melodia segreta con la quale l'artista ha costruito il mondo visibile, quella con cui ha pensato l'universo invisibile.
Cosa pensasse dell'arte Fausto Melotti lo deduciamo leggendo la prefazione al catalogo delle opere presentate alla galleria Il Milione : " I fondamenti dell'armonia e del contrappunto si trovano nella geometria ... L'architettura dei greci, la pittura di Piero della Francesca, la musica di Bach, l'architettura razionale sono arti esatte. La forma mentis dei loro creatori è una forma mentis matematica". In questo testo Melotti seppe sintetizzare la sua idea di arte in una frase assolutamente perfetta: "L'arte è stato d'animo angelico, geometrico".
L'arte per Melotti si rivolge all'intelletto, non ai sensi, ricerca l'essere e non l'apparire, supera le antitesi classico-romantico, antico-moderno, vive delle proprie forme e colori (come la musica che vive dei propri suoni e ritmi) occupando armonicamente lo spazio.
L'artista volle rinunciare alla mimesi e alla rappresentazione del mondo naturalistico, al realismo accademico e ad un certo ritorno all'ordine di stampo accademico-retorico.
Con Melotti l'arte si smaterializza perché secondo l'artista "l'arte non ha bisogno di materia in quanto la materia è menzogna" e tre sono i valori dell'opera d'arte: il concetto di sintesi, il senso musicale dell'opera e l'invenzione plastica".



~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

La mostra al Castello di Miradolo fino all'11/2/2018, curata da Francesco Poli e Paolo Repetto, vuole sottolineare i due principali aspetti della ricerca di Melotti: da una parte i temi connessi alla sua profonda ispirazione musicale, dall’altra quelli con valenze più narrative, mitiche, favolistiche. Attraverso l’esposizione di oltre 80 opere – dalle ben note sculture in ottone e acciaio, alle raffinatissime ceramiche e alle opere dipinte, prevalentemente tecniche miste su carta (e anche su pannelli in gesso) – il percorso espositivo, che si sviluppa in quattordici storiche sale del Castello, illustra il suo iter creativo, anche grazie ai suoi bellissimi pensieri ed aforismi.
Una sezione centrale intitolata Assonanze, vede dialogare le sue opere con quelle di vari grandi artisti, in particolare quelli da cui è stato influenzato, e quelli di cui è stato amico: Fortunato Depero, Arturo Martini, Giorgio de Chirico, Giorgio Morandi, Paul Klee, Vassili Kandinsky, Joan Miró, Alexander Calder, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Atanasio Soldati, Ezio Gribaudo.
Il progetto artistico Avant-dernière pensée propone una propria riflessione sull’arte di Melotti, la musica e il tempo presentando un’inedita installazione sonora che si pone in dialogo con le opere, insieme ad una suggestiva narrazione temporale attorno ad alcune sculture, protagoniste di un disegno di luci in movimento.
L’installazione sonora nasce dalle affinità tra il linguaggio scultoreo di Melotti e la musica, intesa come “occupazione armonica dello spazio”, ed ha come cuore le note e soprattutto i silenzi della rara partitura 44 Harmonies from Apartment House 1776, composta da John Cage nel 1976 (Fausto Melotti muore nel 1986, dieci anni dopo) e presentata nella versione per quartetto d’archi di Irvine Arditti. L’originale di Apartment House 1776 è stato composto per il Bicentenario degli Stati Uniti e eseguito congiuntamente dalle orchestre di Boston, Chicago, Cleveland, Los Angeles, New York e Philadelphia in tutto il Paese nel 1976. In questo brano, John Cage segue il principio del “MusiCircus”, la “molteplicità dei centri”, che descrive come “diversi pezzi eseguiti contemporaneamente, invece che uno alla volta”. Questa “molteplicità di centri” della scrittura del brano, essenziale e pulita e la cui tessitura libera rievoca i pieni e i vuoti delle sculture di Melotti, si incontra nell’inedito sistema di diffusione del suono, concepito perché i quartetti d’archi si articolino nello spazio delle sale espositive, a comporre una grande e suggestiva scultura sonora.
Il visitatore che attraversa le sale del Castello di Miradolo può osservare inoltre alcune delle sculture di Melotti divenire protagoniste di un disegno di luci in movimentograzie ad un’illuminazione esclusiva appositamente concepita e realizzata, che si lega a quella teatrale e puntuale delle opere e degli spazi espositivi. La luce segue, nel movimento, le direzioni orizzontali di lettura nel rispetto della costruzione dell’autore, sovrappone le forme reali e materiche con le proprie proiezioni nella dimensione verticale e, insieme, dichiara la transitorietà del tempo sull’opera. (Testo tratto dal sito del Castello di Miradolo)






"Un artista abbandonato dalla fantasia è come un generale a cui è stato tolto il comando" (F.M.)