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lunedì 2 aprile 2018

Come un camaleonte: l'arte mimetica di Liu Bolin

Nato nel 1973 nella provincia dello Shandong, Liu Bolin si è formato all'Accademia Centrale d'Arte Applicata come studente dell'artista Sui Jianguo che gli fece da mentore agli inizi della sua carriera.
Figlio di quella generazione di artisti cinesi, di cui il più noto rappresentante è Ai Weiwei, che negli anni Settanta tentarono forme autonome di espressione esponendosi alla censura di un regime che ha continuato a mal sopportare l'attività, appartienente alla generazione diventata adulta negli anni Novanta, quando la Cina era risorta dalla ceneri della Rivoluzione Culturale e stava iniziando ad intraprendere una rapida crescita economica e una nuova stabilità politica.
Come un camaleonte l'artista si adatta allo spazio circostante. Una squadra di assistenti partecipa alla trasformazione dipingendo ogni minimo dettaglio del suo corpo in modo che aderisca perfettamente al posto prescelto.
Liu Bolin utilizza la pittura unita al senso plastico dello spazio e del corpo umano rimanendo sempre fedele alla volontà di non ricorrere alle manipolazioni digitali. 
L'effetto della mimetizzazione è estraniante, in alcuni casi bisogna aguzzare la vista per mettere a fuoco la sua sagoma.


Nelle complesse messe in scena della sua sparizione  la pittura, la scultura, l'installazione e la fotografia si fondono.
Ha realizzato le prime opere come scultore con una visione critica già chiara. Il suo grande pugno in bronzo realizzato nei primi anni duemila, simbolo del potere oppressivo è ora esposto in permanenza nel 798, il distretto artistico di Pechino che accoglie importanti gallerie internazionali.



La ricerca in questo campo inizia nel 2005 anno in cui assiste inerme alla demolizione del Suojia Village di Pechino luogo in cui risiedono molti artisti critici al governo e dove lui aveva lo studio. Qui si mimetizza con le macerie del suo studio, si fa fotografare e divulga le foto, dando il via ad una protesta silenziosa e "trasparente", riscuotendo successo. 



Il messaggio è sottile ed evidente, segnala l'annullamento causato dalla costrizione politica, l'impedimento a partecipare alla storia.
L'artista è  conosciuto soprattutto per la sua serie di foto di perperfomance "Hading in the City", un lavoro iniziato nel 2005 che tocca i temi universali del rapporto uomo-natura e tra pensiero e potere politico. 
La sua attenzione si concentra poi sui temi dell'ambiente, il consumo e la mancanza di controllo nella produzione alimentare cinese: nella serie "Supermarket", iniziata nel 2008, la sua figura è perfettamente integrata con gli scaffali carichi di merce,












mentre con il lavoro "Mobile Phones" nel quale si mimetizza tra i ripiani colmi di smartphone contraffatti, la critica è rivolta al suo Paese che si limita all'imitazione  invece di orientare la produzione verso l'innovazione. 




Dal 2012 l'artista si immerge tra le bellezze della storia e delle città d'arte europee. Il viaggio parte dall'Italia, un Grand tour che ha dato origine alla serie "Hading in Italy" (2012-2017) dove con la consueta tecnica mimetica diventa parte dell'Arena di Verona, degli affreschi di Pompei, dello scalone d'onore della Reggia di Caserta 



e del Colosseo




Il tour di Lui Bolin si estende ad America ed India con la serie tutt'ora in corso "Hading in the rest of the world".




Molte mostre sono ormai intitolate "The invisibile man" e la sua fama sta crescendo. E' ormai conteso per campagne pubblicitarie, attiva collaborazioni con altri artisti come il musicista americano Jon Bon Jovi e il  graffitista francese JR.




Pur con qualche digressione, nella sua produzione rimangono sempre al centro i temi scottanti dell'attualità: nella serie "Target" iniziata nel 2013 nelle campagne di Shandong, un tempo occupate da terreni agricoli ed ora inquinate dalle industrie chimiche, evidenzia il dramma della popolazione e dei tristemente famosi "cancer village", fotografando gruppi di persone che paiono dissolversi nel paesaggio, sul cui orizzonte incombono impianti industriali.


Nella serie "Migrant", realizzata nel 2015 in Sicilia inoltre ,punta il dito sui problemi del vecchio Continente coinvolgendo un gruppo di profughi di un centro di accoglienza, facendoli posare, e scomparire nel giallo della sabbia di una spiaggia o tra i pescherecci del porto,




quando non dissolve le loro figure nel blu della bandiera dell'Unione Europea.

Una mostra a Roma al Vittoriano fino al 1° luglio 2018.



Dalla sua prima personale a Pechino nel 1998, il lavoro di Liu Bolin ha ricevuto riconoscimenti internazionali. Tra gli altri eventi, le sue foto e le sculture tipiche della sua produzione sono state esposte nel più importante festival di fotografia contemporanea Les Recontres d'Arles, e ha tenuto mostre personali alla Fondazione Forma per la Fotografia, al Fotografiska Museet di Stoccolma, al Museo H.C. Andersen della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, alla Dashanzi Art Zone di Pechino, alle Galleria Bertin-Toublanc e Paris-Beijing di Parigi, da Eli Klein Fine Art a New York, alla Galleria Boxart di Verona e Magda Gallery di Shanghai. 
Oggi vive e lavora a Pechino.









"Il camaleonte ha la straordinaria prerogativa di cambiare colore per uniformarsi al colore dello sfondo come forma di auto-protezione ... gli esseri umani non sono animali perché non sanno proteggere se stessi". L.B.