Translate

giovedì 18 febbraio 2016

SULLA SCENA DEL CRIMINE



L’esposizione analizza la storia della fotografia forense e mostra opere che coprono più di un secolo di storia, dai primi scatti entrati nelle aule di tribunale fino alle foto satellitari usate dalle organizzazioni per i diritti umani per denunciare l’uccisione di civili, come nel caso degli attacchi con i droni. 
Una selezione di undici casi-studio per illustrare un approccio scientifico al mezzo fotografico, volto a renderlo uno strumento nelle mani della giustizia.
La mostra prende in esame il modo in cui esperti, ricercatori e storici usano le immagini come prova nei casi di crimini o atti di violenza subiti da singoli o da gruppi e analizza in che modo, quando e da chi le immagini di crimini o di violenza sono prodotte, così come la loro capacità di essere utilizzate come prova, oltre a proporne una prospettiva critica riguardo alla loro validità giuridica.
Le immagini possono costituire una prova perché documentano, ma ci vogliono altri elementi per sostenere l'impianto accusatorio. Lo dimostra ad esempio il fatto che l'orrore dei campi di sterminio sia stato fotografato e filmato secondo regole ben precise dai soldati Alleati. Essi infatti dovevano essere fotografati accanto all'orrore  trovato durante la liberazione e la veridicità delle immagini era sostenuta dal fatto che ogni soldato poteva essere riconosciuto e la documentazione risultava credibile e quindi utilizzabile contro gli imputati del processo di Norimberga (sezione "Il processo di Norimberga -  mettere i nazisti di fronte alle immagini dei loro crimini"). 

Le Immagini presentate sono forti, molto diverse tra loro, ma accomunate dalla terribile violenza che documentano.
L'esposizione ha inizio con la Fotografia  metrica per scene del crimine - 1903 del criminologo francese Alphonse Bertillon (1853-1914) il quale stabilì un protocollo scientifico per la rappresentazione delle scene del crimine anticipandone l'attuale ricostruzione in 3D.

Nella stessa sala Il metodo investigativo di Rodolphe Reiss (1875 -1929) discepolo svizzero-tedesco di Bertillon. Passando nella sala successiva troviamo  la presentazione de L'uomo della Sindone - la prima fotografia criminale che mostra le fotografie dell'uomo sindonico scattate dal francese Giuseppe Enrie (1886-1961) durante l'ostensione del 1931 a trentatré anni di distanza da quelle ottenute dall'avvocato e fotografo dilettante Secondo Pia nel 1898 
( immagini che avevano suscitato tanto scalpore ed emozione in tutto il mondo, rivelando per la prima volta con sorprendente chiarezza, "in positivo" nella latra negativa, l'immagine del corpo di un uomo il cui volto corrispondeva straordinariamente a quello tradizionale dell'iconografia di Gesù Cristo, flagellato e crocifisso)

Lo scoppio della Prima guerra mondiale portò una ad una rottura radicale con il passato, rottura resa possibile da due innovazioni del XIX secolo: l'aeroplano e la fotografia.
Già il 2 agosto 1914 osservatori in volo immortalarono i risultati delle loro missioni con macchine fotografiche personali, convincendo il generale Joffre della necessità di unità specializzate per le ricognizioni aeree. In questo modo era possibile la conoscenza dettagliata del territorio e l' osservazione delle difese nemiche.
Nelle fotografie britanniche in mostra nella sezione "La guerra vista dall'alto" possiamo vedere il  prima e il dopo dei bombardamenti effettuati in alcuni territori francesi.











La sezione "Il grande terrore nell'URSS - ritratti delle vittime di un crimine di Stato 1937-38"  è documentato il crimine contro l'umanità commesso in Russia vent'anni dopo la Rivoluzione d'ottobre: il regime sovietico tra l'agosto 1937 e il novembre 1938 circa 75.000 cittadini sovietici furono condannati a morte e fucilati ma prima di ricevere la propria condanna a morte ogni persona veniva fotografata di fronte e di profilo contro fondali neutri, in conformità con le norme per le fotografie di identità stilate da A. Bertillon. Nonostante gli sforzi del sistema stalinista e dei suoi esecutori di nasconderle, le foto del Grande Terrore sono tornate alla luce diventando un atto di resistenza  che ripristina la memora di persone che si valeva far scomparire senza lasciare traccia.




Nel 1984 la polizia brasiliana scoprì nei sobborghi di San Paolo un corpo che poteva appartenere a Josef Mengele, il macellaio di Aschwitz,


a cui i servizi segreti israeliani davano la caccia fin dalla fine della guerra. I migliori esperti forensi del mondo  furono incaricati di esaminare ed identificare lo scheletro. Ne "Il cranio di Mengele - il processo alle ossa" si osserva il lavoro del patologo e fotografo tedesco, Richard Helmer, ed in particolare dell'utilizzo della tecnica videografica di cui era pioniere chiamata sovrapposizione volto-cranio: l'immagine video di una fotografia viene posta sopra l'immagine video del cranio per determinare se appartengono alla stessa persona




sul monitor Helmer poteva controllare la sovrapposizione dividendo il volto a metà, cancellando dallo schermo il viso fotografato per rilevare il cranio e viceversa  la corrispondenza risultò perfetta. Il metodo fu utilizzato dal momento che non erano a disposizione i due elementi solitamente utili al riconoscimento del corpo: la radiografia dentaria o il DNA di Mengele.
Altre sezioni sono "Il libro della distruzione di Gaza- una verifica della distruzione di edifici dopo gli attacchi degli occupanti israeliani"


"Un attacco di droni in Miranshah" con un video che spiega come , partendo da un edificio semi distrutto si riesca a capire come è avvenuto l'attacco e se sono state colpiti esseri umani.
" La distuzione di Koreme, Kurdistan Iracheno" con fotografie della scoperta di fosse comuni in cui erano gettati gli abitanti di un territorio che si opponevano alla conquista della loro terra


Infine "Rivendicazioni territoriali dei beduini nel deserto del Negev"  racconta  la difficoltà dei beduini  di tornare nella loro terra dopo essere stati espulsi dai militari israeliani tra il 1948 e il 1953. Pur essendoci foto scattate alla fine della Seconda guerra mondiale che testimoniano la presenza storica dei beduini nel sito rivendicato,  lo Stato nega loro il diritto di rientro nei loro territori, sostenendo che le immagini aeree scattate dalla Royal Air Force per mappare la Palestina tra il dicembre 1944 e il maggio 1945, non mostrano tracce di insediamento permanente.
Una mostra intensa e con più livelli di lettura, che parla dei nostri lati bui e del nostro disperato bisogno di certezze, che indaga sulla fotografia e del suo ruolo di bloccare la realtà delle immagini, di fissare la scena del crimine prima che altri passi la inquinino, di diventare strumento per sviluppare ricerche, ripensamenti, correzioni, aggiustamenti.

La mostra è visitabile presso CAMERA Centro Italiano per la Fotografia, via Delle Rosine 18 Torino in via fino al 1 maggio 2016.