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venerdì 7 dicembre 2018

Le donne nell'arte: Marina Abramović

Marina Abramović è una delle   personalità  più celebri 
e controverse dell'arte contemporanea. 
Nata a Belgrado nel 1946 l'artista serba è attiva nell'ambito della body-art e della performance; la sua ricerca l'ha portata ad indagare i limiti fisici e mentali della propria persona, creando produzioni che col tempo sono divenute più complesse grazie al contatto con culture diverse come quelle incontrate nei suoi lunghi viaggi in India, Australia, Tibet e Cina.
Marina cresce nella Jugoslavia comunista, entrambi i genitori sono partigiani della seconda guerra mondiale: suo padre Vojin Abramović era un comandate, riconosciuto eroe nazionale dopo la guerra; la madre Danica, maggiore dell'esercito, alla metà degli anni Sessanta viene nominata direttore del Museo della Rivoluzione e Arte di Belgrado.
Marina si forma all'Accademia delle Belle Arti di Belgrado dedicandosi alla pittura.


Truck Accident  - 1963
Cerca però altri strumenti di espressione e frequenta lo Studenti Kulturni Centar (SKC) di Belgrado, istituito da Tito nel 1968, dove ai giovani artisti è permesso sperimentare.



Nel suo percorso formativo la Abramović è influenzata da artisti come Chris Buden, Vito Acconci e Joseph Buys che operano al limite fra performance, film e oggetto, in una stagione, quella degli anni Settanta, favorevole a questo genere di sperimentazioni.
Quando scopre la performance, abbandona tutte le altre forme di espressione ed inizia a lavorare utilizzando il proprio corpo, esponendosi al pericolo e al dolore come via per ampliare le proprie percezioni e il proprio linguaggio artistico.
Nella serie Rhythm (1973-1974) eseguita tra Italia e Jugoslavia, si sottopone a dure prove di resistenza fisica e psicologica: alcuni lavori consistono in azioni(Rhythm 2), altri prevedono  l'utilizzando di oggetti pericolosi (Rhythm 10



o simboli ricorrenti come la stella a cinque punte (Rhythm 5) 



altri evocano un'atmosfera di martirio (Rhythm 0).
La performance Rhythm 0 realizzata a Napoli nel 1974 ha inizialmente avuto come protagonisti 72 oggetti disposti su un tavolo in una sala di una galleria. 



Questi utensili (oggetti di piacere come piume, zucchero, bottiglie, scarpe ecc., oggetti di dolore come fruste, catene, martelli ecc. e oggetti di morte come lamette e una pistola) potevano essere utilizzati dalle persone presenti per interagire con l'artista ed in particolar modo con il suo corpo. 
La Abramović  in questa performance rimase in piedi per sei ore a disposizione degli spettatori che erano autorizzati a farle ciò che volevano dal baciarla e accarezzarla al ferirla o denudarla e qualsiasi cosa fosse successa sarebbe stata sotto la responsabilità dell'artista.



Mentre in un primo momento regnarono perplessità ed imbarazzo, successivamente gli atteggiamenti degli spettatori verso l'artista mutarono diventando anche molto violenti ed il corpo dell' Abramović fu gravemente segnato.
Scopo dell'artista era mettere  a disposizione il suo corpo per rendere protagonista il pubblico. Si trattava di evidenziare le sue capacità di resistenza fisica e mentale e testimoniare gli istinti più brutali dell'essere umano che, una volta vinta la barriera della formalità, prevalgono e mettono a nudo la natura dell'uomo svelandone ogni aspetto.
La serie Freeing,  realizzata nel 1975 prima di lasciare Belgrado, costituisce un rito di passaggio con cui Marina Abramović si affranca dalle proprie origini : un esorcismo in cui libera corpo e mente dal legame con il luogo, mettendo alla prova la sua capacità di resistenza attraverso la ripetizione di parole, suoni e gesti portati fino all'esaurimento. Lo svuotamento diventa metodo: balla fino a cadere esausta, recita parole fino che la mente è sgombrata, grida fino a perdere la voce.


Nel 1975 lascia la Jugoslavia e si stabilisce ad Amsterdam dove fino al 1988 lavora con il suo compagno, l'artista tedesco Ulay (Frank Uwe Laysipen). E' l'inizio di una vita insieme, tanto simbiotica che i due artisti si descrivono come un solo organismo.
Condividono l'idea di potersi spingere al limite estremo usando il corpo, il tempo e il suono come materiali per la loro arte.
Una delle loro performance più nota è Imponderabilia, in cui i due nel giugno 1977 rimasero completamente nudi, uno di fronte all'altro, all'ingresso della Galleria D'Arte Moderna di Bologna come fossero gli stipiti della porta: per entrare nel museo il pubblico doveva passare attraverso lo stretto spazio tra di loro, scegliendo verso chi voltarsi. Programmata per sei ore, la performance venne interrotta dalla polizia dopo novanta minuti per oltraggio al pudore.



La dualità e la simbiosi  è ben rappresentata dalla serie Relation opera estrema ai limiti delle resistenza fisica. 




Nelle loro performance vibranti e ipnotiche i due artisti condividevano una profonda capacità di sopportazione e la comune idea di spingere la loro pratica all'estremo, scandita da pause, respiri, colpi, urla, incontro di corpi.



Documentavano tutto con estrema precisione e rispettavano la regola di non ripetere mai una performance.
Il loro addio però si celebra nel 1988 con un'ultima performance insieme. Si tratta di The Lovers che si è svolta sulla Grande Muraglia, sotto la quale, secondo la tradizione cinese, si muovono draghi giganteschi  la cui energia viene assorbita da chi la percorre attraverso la pianta dei piedi .
Alle 10.47 del 30 marzo 1988 (anno del Drago) Marina parte dal passo Shanghai e comincia a camminare verso Ovest, mentre Ulay si muove dal deserto dei Gobi procedendo verso Est. 



Dopo novanta giorni i due si incontrano a metà della Grande Muraglia avendo percorso ciascuno 2.500 chilometri: si abbracciano e si dicono addio ponendo fine alla loro 



collaborazione artistica e proseguono il loro camino in solitaria.
Marina prosegue da sola il suo percorso artistico di sperimentazione, di profonda riflessione e di confronto con il pubblico: è del 1995 la serie di video-performance Cleaning the Mirror in cui Marina Abramović interagisce e si confronta con uno scheletro umano, inteso come proprio doppio, in un rispecchiamento tra vita e morte che è memore di rituali in uso presso i monaci tibetani.



In Luminosity  del 1997 l'artista resta seduta, nuda, su un seggiolino di bicicletta fissato in alto sulla parete, bilanciandosi con movimenti delle braccia e delle gambe, circondata da una luce fortissima . La posizione precaria, la nudità, l'esposizione agli sguardi la rendono vulnerabile. Questa performance, come afferma Marina Abramović è "un lavoro sulla solitudine, sul dolore e sull'elevazione spirituale, sulla luminosità e sulla qualità trascendentale dell'essere umano" oltre che sullo scambio di energia tra la performer e chi fissa lo sguardo su di lei.
Nel 1997 vince il Leone d'Oro alla Biennale di enezia con l'esecuzione della performance Balkan Baroque metafora contro tutte le guerre ed in particolare con riferimento alle devastanti guerre balcaniche degli anni Novanta.
L'artista era stata invitata a rappresentare la Serbia e il Montenegro nel padiglione jugoslavo della Biennale di Venezia nel 1977, ma si ritira per controversie sul soggetto dell'opera.
Viene quindi invitata dal curatore Germano Celant ad allestire Balkan Baroque  in un sottoscala. Critica e pubblico sono scioccati ma la performance ottiene ampi riconoscimenti, tra i quali proprio il Leone d'Oro. 
Nella performance la Abramović era seduta su una catasta di ossa di vacca: sotto cinquecento pulite sopra duemila sanguinolente con attaccate carne e cartilagini. Per quattro giorni, per sette ore al giorno sfregava le ossa  fino a farle diventare pulite, era come se stesse su un campo di battaglia e le ossa fossero i cadaveri dei soldati, l'odore era nauseante e i visitatori entravano in fila ed osservavano disgustati dal lezzo ma ipnotizzati dalla spettacolo. 



The Hero realizzato nel 2001 è un'opera legata alla memoria, alla sua terra d'origine, oltre che alle complesse dinamiche familiari. E' realizzato dall'artista in seguito alla perdita del padre, eroe partigiano.
Nel video Marina Abramović si rappresenta come il padre su un cavallo bianco mentre si sente l'inno della Jugoslavia comunista.




Dopo aver lavorato in produzioni teatrali autobiografiche, nel 2002 torna alla performance dal vivo. In The House with the Ocean View, resta in isolamento, silenzio e digiuno per dodici giorni, sempre sotto gli occhi del pubblico, in tre piccoli ambienti, vestita con casacca e pantaloni rigorosamente identici ma di colore diverso a seconda del giorno della settimana , bevendo solo ed esclusivamente acqua e 




cercando di stabilire con i visitatori uno scambio di energia molto intenso, fondamentale per la riuscita della performance.
Il suo interesse per tematiche di meditazione e trascendenza avevano già trovato espressione nei Transitori Objects realizzati tra il 1995 e il 2015 con materiali dotati di una particolare carica energetica.




The Artist is Present del 2010 è diventata un classico della Performance Art: durante tre mesi dell'esposizione al MoMA di New York  ogni giorno Marina Abramović ha fissato negli occhi ogni spettatore che decideva di sedersi di fronte a lei.
L'artista la considera la performance più radicale della sua vita durante la quale è rimasta per sette ore al giorno seduta a fissare dentro gli occhi i visitatori, 736 ore e 30 minuti muta ed immobile, senza mangiare, bere o andare alla toilette.




La partecipazione del pubblico ha assunto sempre maggiore importanza nei lavori di Marina Abramović, che attraverso esercizi quali Counting the Rice, invita il pubblico a espandere la percezione della "non esistenza del tempo" . I partecipanti (volontari del pubblico) sono invitati a lasciare i loro cellulari in un armadietto e poi ad indossare una cuffia che li isola dall'ambiente. Leggendo le istruzioni sono invitati a sedersi ad un tavolo su cui sono depositati chicchi di riso che devono separare e contare: il tempo trascorre ma l'isolamento e la concentrazione non permettono di percepirlo, un'esercizio psico-fisico che l'Abramovic nel 2014 ha utilizzato per acquisire concentrazione e predisporre corpo e mente alla performance art.


Counting the Rice - Palazzo Strozzi
Per mantenere vive le sue opere, che esisterebbero solo come documentazione d'archivio e tutelare la propria eredità artistica, Marina Abramović usa la re-performance come metodo. Attraverso il Marina Abramović  Institute for the Preservation of Performance Art (MAI) e con il cosiddetto "Abramović Method", sviluppato nel corso della sua carriera come pratica fisica e mentale per realizzare una performance, l'artista ha posto le basi per oltrepassare il limite effimero della temporalità delle sue opere e reinventare l'idea stessa di performance del XXI secolo.
Le opere non sono più solo documentazione d'archivio, ma acquistano una nuova vita e mutano a seconda del performer, esattamente come avviene per un brano musicale che cambia profondamente da un interprete all'altro.


                           Re-performance di Imponderabilia a Palazzo Strozzi 

L'opera deve avere vita propria e sopravvivere all'autore.

Fino al 20 gennaio 2019 Palazzo Strozzi a Firenze dedica a  Marina Abramović la più grande retrospettiva italiana. La mostra riunisce oltre cento opere (video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni) offrendo una panoramica sulla sua carriera, dagli anni Settanta agli anni Duemila. 
Durante la mostra è anche possibile assistere alla riesecuzione dal vivo di alcune delle  celebri performance che Marina Abramović ha fatto nella sua carriera artistica, a  realizzarle un gruppo di performer appositamente selezionati  e formati per la mostra di Palazzo Strozzi da Lynsey Peisinger, stretta collaboratrice di Marina Abramović.


Due visitatori alla postazione della re-performance "The Artist is Present" a Palazzo Strozzi