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domenica 23 aprile 2017

Le donne nell'arte: LOUISE BOURGEOIS


Louise Bourgeois (Parigi 1911-New York 2010) è stata un'artista solitaria, non legata alle mode e che ha seguito il suo percorso artistico con tenacia cercando di sopravvivere alle tensioni familiari e ai traumi dell'infanzia attraverso l'arte: "... non lavoro per il successo, lavoro per esprimermi e sentirmi più serena ..." 
La sua vita è fortemente segnata dal rapporto tormentato con il padre che l'avrebbe voluta maschio e che durante l'infanzia le fa subire molte  umiliazioni provocando in lei una continua perdita di autostima.
Il rapporto con la madre invece sarà sempre molto intenso tanto che quando verrà a mancare, Louise tenterà il suicidio gettandosi in un fiume. 
Il differenze rapporto che ha con i genitori sarà chiaramente espresso dall'artista nelle sue opere: le Mamans (1999) per esempio,  rappresentate da grandi ragni di acciaio saranno un omaggio alla madre, donna intelligente, paziente, utile, ragionevole,


mentre  "The Destruction of the Father" 1974 (la distruzione del padre) - che rappresenta l'uccisione cannibalica del padre sulla tavola da pranzo della famiglia - esprime quella che era una sua dichiarata fantasia infantile e cioè quella di divorare il padre che tradiva la madre con l'amante.

La famiglia di Louise Bourgeois gestiva una bottega per il restauro di arazzi antichi nella cittadina francese di Choisy-le-Roy. Consci del suo talento, i genitori le affidano l'incarico di disegnare le parti mancanti negli arazzi e di creare cartoni per la riparazione.
Il suo carattere orientato al rigore e all'ordine la spinse ad iscriversi alla Sorbona presso la facoltà di matematica che però abbandonò dopo qualche tempo poiché giudicata troppo teorica. Dalla metà degli anni '30 frequenterà diverse scuole d'arte  approdando infine da Fernand Léger.
Sposò lo storico d'arte americano Robert Goldwater e nel 1938 si trasferì a New York, dove proseguì gli studi d'arte fino al 1940 all'Art Students League (dove studieranno altri famosi artisti come Alexander Calder, Helen Frankenthaler, Geordia O'Keeffe, Barnet Newman, Man Ray, Jackson Pollock, Lee Krasner, Robert Rauschemberg, Mark Rothko, Roy Lichtenstein, e molti altri)



per poi intraprendere l'attività di pittrice. Uno dei suoi primi gruppi di opere fu Femme Maison, figure femminili i cui corpi erano in parte  costituiti da una casa, in riferimento allo stato sociale delle donne e al loro essere assegnate al territorio domestico.


La Bourgeois esplorò lo stesso tema nella scultura. Dalla metà degli anni Quaranta creò i cosiddetti Personnages, figure simili a stele evocanti manufatti totemici di culture tribali, mentre negli anni Cinquanta diede vita ad una serie di sculture costituite da elementi simili montanti su un'asta, raffiguranti non solo oggetti che ricordano la scultura di Brancusi, ma anche principi seriali minimalisti



Negli anni successivi l'artista sperimenterà materiali inconsueti come il lattice, la gomma, il gesso e il cemento. Nei primi anni Sessanta sviluppò ulteriormente il suo tema domestico con Lairs , forme fluide a spirale o labirintiche, che in genere si aprono verso uno spazio interno vuoto.

Come Lairs, anche i suoi delicati paesaggi seguono i principi di un approccio organico e anticonformista. Una materialità quasi carnosa rende opere in lattice come Double Negative del 1963 simili a paesaggi viscerali in cui l'interno serbar essere stato rivoltato verso l'esterno. Forme sferiche simili a funghi spuntano da basi fluide, rendendo impossibile un'identificazione inequivocabile e suggerendo piuttosto molteplici seni dell'Artemide di Efeso oppure forme falliche


 





Come molte delle opere realizzate dalla Bourgeois che richiamano attributi sessuali, queste non sono chiamate "maschili" o "femminili". Un esempio è Fillette (bambina) del 1968, un grande fallo in lattice (con cui l'artista si lasciò fotografare da Robert Mapplethrope nel 1982). 
Nell'opera viene ipertrofizzata la forma fallica tipicamente maschile, ma anche quella rotonda che potrebbe far pensare al seno femminile. Queste opere, inserite nella mostra "Eccentric Abstraction" organizzata nel 1966 dall'attivista, scrittrice e critica d'arte Lucy Lippard, troveranno la loro collocazione nel discorso femminista senza però l'avallo dell'artista che per tutta la sua carriera volle restare indipendente da qualsiasi corrente o ideologia.
Verso la fine degli Anni Settanta Louise Bourgeois poté consolidare la propria posizione artistica di New York, ottenendo un riconoscimento sempre maggiore da una generazione di artisti più giovani. Ma solo nel 1982, quando l'artista aveva già 71 anni il New York Museum of Modern Art allestì una prima grande retrospettiva della sua opera rendendo omaggio al suo contributo all'arte americana del dopoguerra. 
L'importanza della sua figura sulla scena internazionale fu finalmente confermata con la retrospettiva tenuta nel 1989 in Europa al Frankfurt Kunsteverein e consolidata con la partecipazione a Documenta IX a Kassel nel 1992 e alla Biennale di Venezia nel 1993 dove ottenne una menzione d'onore.
Dalla metà degli anni Ottanta in poi tornò ai temi della memoria e del conflitto infantile, creò Cells (celle), ampie stanze circondate da recinzioni di rete, mobili ed enigmatici specchi



"Ogni cella - come diceva l'artista - parla della paura. La paura del dolore". In Celles gli oggetti fungono da rappresentanti di persone assenti, ad esempio sotto forma di sedie o letti vuoti, il cui vuoto sconosciuto fa scattare la memoria.
Alla fine degli anni Novanta il discorso della memoria si sposta dai ricordi d'infanzia al rapporto tra lei, madre, ed i suoi figli.
Nel 1999 la sua opera Do not abandon me (non abbandonarmi) identifica la fragilità con la paura dell'abbandono provocata tanto dalla madre quanto dal figlio. In The Reticent Child (il bambino reticente) del 2003 l'artista continua l'analisi della propria esperienza di madre ripercorrendo le fasi della vita di suo figlio, a partire dalla gravidanza e dal parto


In Femme (Donna) del 2005 una figura gravida, dall'aspetto sofferente è sospesa per il ventre ed evoca un senso di estrema precarietà o forse la paura del fallimento


Dall'analisi delle diverse opere possiamo dire che il suo fu un approccio intensamente autobiografico attraverso cui affrontare traumi, angosce ed emozioni. 
Pur accettando il riconoscimento pubblico, giunto piuttosto tardi nella sua carriera, Louise Bourgeois mantenne sempre una posizione ambivalente rispetto all'essere celebrata come artista donna e precisava "Io non sono ciò che sono. Sono ciò che faccio con le mie mani."


“La storia della mia carriera è stata questa. Per molti anni, fortunatamente, i miei lavori non si sono venduti né per profitto né per altre ragioni. Io ero molto produttiva, perché nessuno cercava di copiare il mio alfabeto. Ne avevano sentito parlare, perché nel corso degli anni qualche mostra l’avevo fatta, ma non avevo venduto. E in America vendere equivale a avere successo. La mia immagine è rimasta tutta mia e di questo sono molto riconoscente. Ho lavorato in pace per quarant’anni. La produzione del mio lavoro non ha avuto niente a che vedere con la sua vendita. Su di me il mercato continua a non avere alcun effetto, né in positivo né in negativo”.

lunedì 17 aprile 2017

IL PARCO DI SCULTURE DI VIGELAND - OSLO




Il parco di Vigeland ad Oslo si estende su un'area di 32 ettari ed è situato inprossimità del vecchio parco di Frogner.
Grande attrazione turistica della città, il parco artistico-cittadino è aperto giorno e notte sia d'estate che d'inverno e accoglie al suo interno oltre ad una grande varietà di piante e di fiori, 214 sculture  per un totale di 758 sculture, tutte modellate dallo scultore norvegese Gustav Vigeland (1869-1943) che ha anche creato la struttura del parco e quella architettonica attorno ad esse. Le zone ad ovest del laghetto di Frogner, con i grandi prati aperti, attraversate da lunghi viali e da un asse principale, sono state create in base ai disegni ed ai modelli creati dall'artista negli anni '20 e '30, quando era chiaramente influenzato dagli ideali neoclassici del periodo.
Il parco di sculture è sempre stato oggetto di discussioni, sia nella fase di pianificazione che successivamente, ma con il passare degli anni le critiche negative sono andate scemando.
Il Parco di Vigeland non è stato realizzato partendo da un piano e da una visione d'insieme originali, infatti un anello della catena è stato aggiunto all'altro nel corso di oltre 40 anni della vita dell'artista. 
Il nucleo della struttura fu una fontana ricca di sculture: sin dal 1900 Vigeland aveva eseguito un bozzetto (presentato al Comune per una piazza minore ma rifiutato) ritraente sei uomini che portavano un piatto  che fu in seguito ampliato 
con una grande vasca con urne impreziosite da  figure. 
Successivamente l'artista sostituì le urne con alberi; infine nel 1906 Vigeland presentò al pubblico un modellino in scala 1/5 che oltre al gruppo centrale con i sei uomini portanti ed i venti gruppi con uomini e alberi, 
presentava un fregio ricco di rilievi lungo tutto il bordo della vasca.

L'esposizione destò notevole attenzione e meraviglia e l'entusiasmo della gente diede anche prove tangibili. Una raccolta privata di fondi  permise di acquisire una somma di 120.000 corone nel giro di poche settimane ed il banchiere Ernest Thies, offrì da solo 50.000 corone.
Nel 1907 il Comune deliberò di ordinare la fontana per la piazza di fronte al Parlamento. Prima di portare a termine l'esecuzione delle sculture, Vigeland pensò di realizzare una serie di grandi gruppi di granito che desiderava collocare accanto alla fontana e che propose di trasferire nel 1916 in un posto più riservato, all'Abelhaugen, nello Slottsparken


La proposta fu accolta ed il progetto finì per comprendere anche un abbellimento del Nisseberget, sul lato destro destro della salita al castello, 

ed una serie di gruppi di uomini e sauri (oggi 4 di essi sono sistemati nel Parco di Vigeland, su alte basi di granito, agli angoli del ponte.
Poiché a Frogner sarebbe stato dato un nuovo atelier a Vigeland , nel 1921 egli propose di sistemare tutta la struttura, esprimendo anche il desiderio  di incorporare il Monolite nell'area adiacente.
Per i politici in carica il luogo era inadatto e nel 1922 venne chiesto allo scultore di elaborare una proposta di sistemazione accanto al Parco di Frogner già esistente. Nel corso di pochi mesi egli completò una nuova disposizione, che provvisoriamente prevedeva un piccolo settore ad ovest del laghetto di Frogner. Il progetto accese un forte dibattito e venne accettato dall'amministrazione comunale soltanto nel 1924.
Negli anni successivi Vigeland propose nuove aggiunte, tutte approvate: il portale d'ingresso nel 1928


nel 1931 il ponte con 63 sculture, 

oltre a notevoli ampliamenti dell'area del parco.
Altre sculture vennero eseguite pensando alla loro sistemazione nel parco e nel 1947 l'amministrazione comunale approvò la maggior parte dei piani di Vigeland, così com'erano alla sua morte, avvenuta nel 1943. 
Le sculture sono raccolte in cinque unità maggiori che si collegano lungo un asse di 850 metri.



domenica 16 aprile 2017

DALL'ANTICA ALLA NUOVA VIA DELLA SETA - MAO fino al 2 luglio 2017





CAVALLO - QIU Qijing s
cultura in rame

Il termine "via della seta" fu coniato nel 1877 dal geografo tedesco Ferdinand von Richthofen il quale analizzò, dalle origini leggendarie sino al XIX secolo la geografia e la storia dei territori attraversati dalle rotte che dalla Cina portavano all'Europa.


Circa novant'anni più tardi, l'espressione sarà ripresa da archeologi e storici e l'Unesco negli anni Ottanta del Novecento esalterà il concetto per evidenziare i legami tra l'Estremo Oriente (in particolare la Cina), l'Asia Centrale e il mondo occidentale.
Gli studi condotti da storici, orientalisti, archeologi confermano l'importanza degli scambi lungo le molte vie che hanno collegato l'Oriente e l'Occidente nel corso dei millenni mettendo in evidenza come attraverso lo scambio di merci, tecniche e informazioni di ogni genere ci sia stato un arricchimento reciproco. 
L'Europa ad esempio ha conosciuto oggetti come la bussola, i ferri per gli zoccoli e la sella, l'uso del tiro per i cavalli, l'aratro con le ruote, la carta fatta con il cotone, la polvere da cannone, le piante come la segale, il luppolo, il tè, e le scienze come la matematica, la cosmologia, l'astronomia, la geografia, la chimica, la farmacologia, devono molto all'Asia.
L'Italia ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dei rapporti con la Cina: si tramanda che già Marco Aurelio, nel 166 d.C., invia un'ambasceria alla corte del Figlio del Cielo permettendo ai due imperi più grandi della storia di entrare in contatto; Marco Polo nel Duecento celebra lo splendore della Cina ne "Il Milione", contribuendo a migliorare le conoscenze dei popoli e mondi ancora poco noti in Occidente; il Gesuita Matteo Ricci, accolto nel 1601 nella Città Proibita come ambasciatore d'Europa, è ammesso dall'imperatore Wanli nella cerchia ristrettissima dei Mandarini e gli è permesso di fondare una chiesa a Pechino; Martino Martini, durante la sua lunga permanenza in Cina 
redige il "Novus Atlas Sinensis, primo atlante moderno della Cina che verrà pubblicato in Europa nel 1655.
Oggi l'attenzione rivolta alle rotte commerciali che attraversano il gigantesco continente euroasiatico è aumentata da quanto il Presidente cinese Xi Jinping ha illustrato il progetto di aprire una "Nuova via della Seta" che collegherà l'antica città di Xi'an con Rotterdam e molte grandi città europee.
La mostra "Dall'antica alla nuova via della seta" presenta preziose opere del Mao accanto a prestiti concessi da importanti istituzioni museali e biblioteche sia italiane che Europee oltre ad una ventina di opere moderne provenienti dalla Cina e realizzate da artisti cinesi contemporanei.
La mostra intende presentare la storia millenaria dei rapporti tra l'Oriente e l'Europa attraverso grandi opere rappresentate da carte geografiche 
Carta della Moscovia - Battista Agnese 1554-56

tessuti e disegni

Calzari di Benedetto XI - fine XIII inizi XIV sec.
Album di acquarelli su carta - XVIII sec. Dinastia Qing

stucchi e sculture in pietra

Bodhisattva stante - Pakistan II-III secolo
scisto scolpito
Suonatore e danzatore entro portale
Pakistan - metà I sec. - scisto verde
ceramiche e porcellane
Piatto con orlo Polilobato-Iran XVII secolo
Ceramica a impasto artificiale (fritta) dipin-
ta di blu e nero sotto invetriatura trasparente
Bottigili priforme decorata con fenici
Cina XVI secolo- Dinastia Ming
Porcellana bianco e blu con montature
in ottone
opere contemporanee

Capriccio d'acqua - Giada - Qiu Qijing
Sogno della Cina- Porcellana
Qiu Qijing

Servizio da tè - ferro - Gruppo SANHE

Servizio "Neve della lune felice"
Nel 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la
Francia e la Cina - Ceramica di Dehua, Fujian
Gruppo SANHE e Manifattura Nazionale di Sévres

che faranno intraprende al visitatore un fantastico viaggio  alla scoperta dell'antica via della seta senza tralasciare quella nuova via della seta che oggi fa continuare quel fitto mondo di relazioni tra mondi molto diversi che possono arricchirsi reciprocamente se non si fermano all'aspetto puramente economico dei loro rapporti.


venerdì 7 aprile 2017

L'arte degli anni Settanta: LA BODY ART

Portrait of Rrose Sélavy, 1921
Nell'esperienza artistica del Novecento il corpo è sempre  stato presente: pensiamo a Marchel Duchamp (figura di spicco del Dadaismo) che negli anni Venti amava giocare con il proprio corpo, travestendosi fino a cambiare identità e sesso per diventare Rrose Sélavy; ad Yves Kein che nel 1958 dipinse delle modelle con suo blu (IKB) ed le utilizzò successivamente come  pennelli viventi






o a Piero Manzoni che nel 1961 firmava modelle o persone trasformandole in sculture viventi.
Dalla fine degli anni sessanta anche la Body Art fa un utilizzo  esplicito del corpo. Novità assoluta è però l'utilizzo del corpo dell'artista stesso come materia prima dell'opera per rispondere all'esigenza di lavorare con materiali dotati di un'energia vitale maggiore rispetto a quelli tradizionali e al desiderio di mettere in campo materiali davanti ai quali lo spettatore non possa rimanere impassibile.
Esempi  dell'uso del corpo dell'artista come protagonista insostituibile li troviamo nell'opera Making Faces realizzata da Bruce Nauman nel 1968
in cui l'artista usa la propria faccia come fosse cera da scolpire e modificare, oppure l'opera Hot Dog in cui Paul McCarthy riempie la sua bocca di cibo fino a farle prendere una forma disumana



Ogni artista ha utilizzato il suo corpo in modi diversi: a volte rischiando la vita (Chris Burden),  altre volte in modo ironico (Giltert&George), oppure in modo ambiguo e usando dei  travestimenti (Luigi Ontani), ma anche utilizzando pratiche violente che  hanno portato gli artisti a definire le loro azioni "una forma di preghiera estetica" (Nitsch, Raine, Brus, ecc.).
Per quanto riguarda le artiste, un fronte di azioni femminili ha fatto emergere invece tematiche inerenti ai rapporti interpersonali, in particolar modo sessuali e famigliari.
Gina Pane (1939-1990) ha riflettuto con violenza e tenerezza sull'eterna compresenza di amore e morte e sul senso della sofferenza, personale e collettiva, tramite performance violente ma allo stesso tempo composte nelle quali intendeva: "far capire chiaramente al pubblico che il mio corpo è il materiale della mia arte". 
In The Conditioning (1972), ad esempio, si stese su un letto di ferro sotto il quale bruciavano quindici candele. 
Lygia Clark (1920-1988) mirava invece ad una forte interazione con il pubblico creando abiti-opere che faceva indossare agli spettatori.


Carolee Scheneeman (1939) sviluppò l'aspetto erotico-politico del femminismo e dell'emancipazione della donna. Embleamtico è Interior Scrool del 1975 in cui estrasse dalla vagina, intesa come sorgente di conoscenza interiore, un suo scritto di ispirazione femminista, di cui poi diede lettura al pubblico

Le performance di Marina Abramovic (1946) erano e sono tuttora volte a misurare i limiti fisici e psichici umani, anche attraverso l'uso di oggetti pericolosi o medicine, in particolare di farmaci per epilettici. Lo scopo di tutte le performance dell'artista è sottolineare la fisicità della persona, tollerando ogni sorta di umiliazione, paura e fatica. Le sue azioni,  l'hanno portata spesso allo sfinimento e al reale disfacimento fisico.

47 Biennale di Venezia 1997










Il lavoro di Rebecca Horn (1944) estende e modifica le possibilità percettive del corpo tramite l'utilizzo di particolari e poetiche protesi: bende, tessuti, legacci la avvolgono e sono il retaggio di un'esperienza passata di isolamento in sanatorio per i postumi di un avvelenamento dovuto all'uso di sostanze tossiche durante un lavoro artistico quando era ancora studentessa.
In Head Extentio, Unicorn, porta con sé memorie del mondo fatato e favolistica dell'infanzia


mentre nella performance Finger Handschuhe l'artista sperimenta il suo corpo attraverso uno strumento per estendere la sensibilità delle mani, che la porta a percepire l'attività manuale in un modo nuovo, a controllare la distanza tra lei e gli oggetti e a modificare l'approccio del suo corpo con l'ambiente: una volta indossati, i guanti creano un mondo nuovo in cui si agisce in maniera diversa da quella abituale.
Le azioni di Body Art nella maggior parte dei casi sono opere che hanno bisogno di essere documentate. Le fotografie delle azioni performative degli artisti diventano un documento, una testimonianza differita di ciò che è accaduto: l'opera in senso stretto è infatti scomparsa e la sua transitorietà fa sì che necessitino di essere sempre registrate.
Dopo gli anni Settanta si incontrano ancora artisti che utilizzano il corpo nelle loro performance, ma sono soprattutto attori.
Gli esperimenti sul corpo si svolgono soprattutto tramite l'utilizzo della tecnologia.
Ciò che manca a queste nuove esperienze è la carica sovversiva della Body Art degli anni Settanta, in cui l'uso del corpo era il primo modo per capire e sfidare se stessi, oltre a tentare di cambiare il modo di fare l'arte.