Translate

domenica 31 luglio 2016

MERAVIGLIE DEGLI ZAR - Reggia di Venaria Reale fino al 29/1/2017



La mostra ripercorre lo splendore del Palazzo Imperiale di Peterhof voluto da Pietro I Romanov conosciuto come Pietro il Grande (da lui deriva il nome ) che regnò in Russia dal 1689 al 1725 e successivamente ampliato con splendidi edifici e giardini voluti dai successivi sovrani russi da Caterina la Grande fino a Nicola II.
Dalle infinite sale del palazzo sito in un grande parco sulle rive del Mar Baltico vicino a San Pietroburgo provengono un centinaio di opere tra cui dipinti, abiti, porcellane, arazzi ed oggetti preziosi che rievocano la vita in una delle più importanti e prestigiose residenze dei Romanov, oggi meta principale del turismo culturale in Russia.
La mostra si apre con una presentazione video di Peterhof e dei personaggi che la abitarono, cominciando da Pietro il Grande.


che incoraggiò i russi a viaggiare in Europa, favorì le esplorazioni e la ricerca scientifica, chiamò a lavorare in Russia artisti ed architetti da tutta Europa, fece tradurre e pubblicare libri occidentali e incoraggiò lo studio delle lingue straniere.
La dinastia dei Romanov ha regnato per oltre tre secoli, dal 1613 fino al 1917, dando alla Russia diciotto sovrani. Le sale del Palazzo di Peterhof conservano ancora oggi una galleria di 200 ritratti della famiglia imperiale realizzati da maestri russi e da artisti europei
Rittratto della Principessa Elisabetta Petrovna
Charles-André Vanloo
Ritratto dell'Impertatore Nicola II
Ernst Friedrich Liphart
                        
Negli abiti esposti in mostra si scorge lo splendore della corte: le feste si tenevano a San Pietroburgo e a Mosca ma anche nel Gran Palazzo di Peterhof. Le imperatrici russe vestivano per l'occasione abiti dall'eleganza impeccabile



la moda europea, italiana in particolare, divenne con Pietro il Grande un modello a imitare. Lo Zar dichiarò guerra al vecchio stile russo riformando la foggia degli abiti femmini e maschili, Elisabetta tra le zarine più alla moda, dedicò moltissima attenzione al suo guardaroba.
Prima della Rivoluzione d'Ottobre Peterhof abbondava di opere preziose: nei giardini erano presenti magnifiche sculture e grandiose fontane mentre nei palazzi erano presenti oltre a pregiati dipinti anche oggetti preziosi di arte applicata e decorativa realizzati da maestri russi ed europei nell'arco di tre secoli.
La ricchezza degli Zar si esprimeva nelle cerimonie ufficiali così come nella vita quotidiana, nella quale amavano circondarsi di oggetti ornamentali, soprammobili e suppellettili realizzati con l'impiego di materiali pregiati. 
Nel Settecento la passione della corte russa per il gusto italiano, come per i dipinti olandesi e le porcellane cinesi ammirati nei viaggi in Europa, si trasformò in una ricerca colta e documentata verso le opere che nelle diverse forme artistiche rappresentavano l'eccellenza dell'epoca            

Galleria delle Belle - Pietro Antonio Rotari
La grande apertura della Russia all'Occidente investì anche la produzione artistica: da una parte gli artisti russi venivano invitati a studiare all'estero, dall'altra erano spinti a confrontarsi con gli artisti stranieri chiamati a lavorare alla costruzione della nuova San Pietroburgo. La nuova arte russa che si affermò nel corso del Settecento raccoglieva l'esempio europeo pur conservando  alcune caratteristiche fortemente legate alla propria tradizione, ne è un esempio la realizzazione di oggetti in malachite verde degli Urali combinata con il bronzo dorato 


I Romanov erano noti per essere molto ospitali e le loro cene leggendarie, l'abbondanza dei piatti impressionava anche i buongustai più raffinati. Nel 1744 venne fondata a San Pietroburgo la prima fabbrica di porcellane russa, che dopo diversi decenni divenne il fornitore principale della Corte. 
Il servizio Guriv è il più famoso servizio da tavola per gli Zar prodotto dalla fabbrica imperiale. 


Venne realizzato tra il 1809 e il 1816 e fu il primo servizio ufficiale di Stato, creato durante il regno dello Zar Alessandro I, fu ideato per raffigurare la vastità dell'Impero russo attraverso la raffigurazione dei costumi tradizionali degli innumerevoli popoli che lo componevano



La residenza sabauda che ospita la mostra non fu mai meta degli Zar anche se i rapporti tra gli Stati sabaudi e l'Impero russo ebbero inizio già nel XVIII secolo. Fu nella prima metà del secolo infatti che un numero crescente di aristocratici dell'Impero inserirono Torino fra le tappe del loro Grand Tour in Europa.
Sebbene tali soggiorni si limitassero spesso a una settimana, essi servirono a costruire un legame via via più forte man mano che il secolo avanzava.
Anche Nizza, sabauda fino al 1860, divenne una tappa importante per i russi che amavano trasferirsi nei più miti climi del continente.
Ricche famiglie russe mandavano i loro figli a studiare all'Accademia Reale di Torino, frequentata da studenti inglesi, tedeschi e polacchi.
Pietro il Grande, nonostante lo avesse immaginato, non fece mai un viaggio in Italia, il primo Romanov a recarsi a Torino fu Paolo I, figlio di Caterina II "la grande", nel 1782 quando era ancora principe ereditario.


sabato 23 luglio 2016

ARTE ALLE CORTI - Torino, fino al 10 novembre 2016





Con la seconda edizione di Arte alle Corti siamo nuovamente invitati a scoprire la città attraverso le corti di palazzi storici cittadini che diventano musei all'aperto di arte contemporanea.
Gli artisti, diversi per generazione, origini e stile presentano le loro opere in nove corti e due giardini di Torino.
Partendo con una mappa in mano ci si può spostare  da un luogo all'altro facendo una passeggiata che permette di collegare diversi punti del centro cittadino, attraverso l'architettura barocca.


I turisti potranno godere di questo museo en plain air ed i cittadini scopriranno luoghi spesso sconosciuti seppure quotidiani e famigliari. Entrambi potranno entrare in luoghi meravigliosi che l'arte ha permesso di aprire.Il progetto ha voluto che fossero realizzate opere site specific e che gli artisti lavorassero immergendo la propria opera nel contesto affinché  si mimetizzasse con il tessuto del luogo e non diventasse un monumento a se stante.Secondo la visione teatrale tipica del Barocco, anche con questa seconda edizione, si è voluto creare la meraviglia tramite l'illusione scenica e le suggestioni che ne derivano ci fanno ripensare il nostro modo di vedere arte ed architetture.

PALAZZO SALUZZO PAESANA (Via della Consolata 1 bis, Torino - domenica chiuso)

Sono molte, e diverse, le anime di Torino. Un abito barocco dall’impalcatura operaia, stucchi e ferro, volute e fabbriche. Nel cuore di Palazzo Saluzzo Paesana Flavio Favelli colloca un totem, Mondo Operaio, una struttura composta da pannelli di ferro trovati in una discarica a Istanbul, usati per ponteggi o lavori stradali. La sua pelle è un pattern a smalto composto da grafiche di riviste politiche anni ’60 e ’70. Un’estetica concettuale e non fine a se stessa, che si confronta con quella barocca, in apparente contrasto, ma condividendo un’idea di bellezza super partes. Quindi, Is beauty an affliction then?, si domandava Emily Dickinson in un suo verso, che diventa sorgente, zona di contatto, bocca nell’omonima opera di Gregorio Botta. Una lastra di vetro che respira acqua sotto ai portici del cortile, raccolta in una nicchia. Le lettere che compongono le parole del verso sono incise su un foglio di piombo, da cui sgorgano rivoli d’acqua. Pensieri ed emozioni vive che scorrono lievi, che inumidiscono la vita. Possono essere lacrime di gioia o disincanto (O. Gambari F. Poli)



PALAZZO CIVICO (Piazza Palazzo di Città 1, Torino- domenica chiuso)
Le sculture di Tony Cragg guizzano, si muovono. La materia diventa vibratile e appare in metamorfosi. Condizione instabile che influenza la visione e smaterializza il corpo delle opere. Sembra di sentirne il suono, emesso da queste opere che sono generatori di energia, racchiusi in bozzoli di materia. Si tratta di vibrazioni emanate, che si propagano per tutto lo spazio del cortile, riverberandosi sui muri e sullo spettatore. Tommy, Rod, Digital Skin i loro nomi. All’artista inglese, uno degli scultori più importanti del nostro tempo, interessa la struttura interna della materia, che poi ne genera l’aspetto esteriore e il suo modo di comunicare (O. Gambari F. Poli)


"DIGITAL SKIN"
"TOMMY"
"ROD"
PALAZZO CHIABLESE (Piazza San Giovanni 2, Torino - sabato e domenica chiuso)
Una mano che sostiene una lanterna. Sembra spuntata dal suolo, una grande mano dal cuore della terra. L’installazione Qui Ora di Gianni Dessì sarebbe perfetta sul palco di un’opera lirica. “Cerco l’uomo”, sembra dire come Diogene di Siope, che andava in giro con una lanterna accesa in pieno giorno. E questa scultura di Dessì, in effetti, pare piena di luce, colorata di un giallo pieno. La lanterna assomiglia anche a una casetta, di quelle stilizzate, che disegnano i bambini, con il tetto che è una piramide. La forma è sospesa da terra, e diventa il centro perfetto del cortile di Palazzo Chiablese – come l’uovo di Piero della Francesca – accolto dall’abbraccio circolare della sua struttura architettonica (O. Gambari F. Poli)



PALAZZO REALE (Piazzetta Reale 1, Torino - lunedì chiuso)
E’ un’immagine surreale e di grande impatto la corsa di bufale che invade la Piazzetta Reale. Sembra uno still da video. Enormi animali bloccati (forse da un incantesimo?) ma al tempo stesso informati da un palpito vitale, come fossero in movimento. Si ha l’illusione di udirne il suono degli zoccoli sul selciato. Sono un branco di bufale, che pare sbucato da dentro al palazzo e che ora stia disperdendosi nelle vie della città. È lo spiazzamento della natura selvaggia che irrompe nel cuore della civiltà, fatto di architettura, storia, società. Piazzetta Reale si trasforma in una quinta teatrale, in cui le bufale di Davide Rivalta sono gli attori, capaci di evocare savane, corsi d’acqua e habitat naturali lontanissimi (O. Gambari F. Poli)





GIARDINI REALI (Piazzetta Reale 1, Torino - lunedì chiuso)
Dentro a Palazzo Reale, nei suoi giardini da poco riaperti, si aggirano altre creature di Davide Rivalta. Sono due Orsi, nascosti verso il fondo, nel tentativo di cercare un rifugio, o di raggiungere un bosco, probabilmente. Costituiscono una delle tre apparizioni sul tappeto verde dei giardini dei Savoia. Emerge da un’aiuola, svettando in alto, verso il cielo, la scala dorata di Maura Banfo, alla cui sommità è alloggiato un grande Nido. Un’immagine di poesia fiabesca che evoca il mito. Risulta, invece, pop e al tempo stesso astratta la monumentale forma di ferro pieno di Carlo Ramous che costituisce anche un omaggio a questo storico artista. Ci si vede dentro una balena, un’elica, un cucchiaio, in Continuità. Le tre installazioni sembrano strani fiori di una wunderkammer reale (O. Gambari F. Poli)














PALAZZO DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI (Via Po 17, Torino - sabato e domenica chiuso)Dove va quella barca capovolta, con sotto due uomini? È un dialogo simbolico perfetto quello tra la scultura di Velasco Vitali, Sbarco, e il cortile dell’Università degli Studi di Torino. Mette a fuoco subito la Società e il suo cammino, la cui direzione deve essere indicata e illuminata dalla Cultura. Un’installazione che con la sua superficie specchiate coinvolge anche il pubblico e la realtà che le scorrono attorno, facendoli diventare parte integrante. Così l’architettura del cortile diventa un orizzonte metropolitano che si delinea lungo l’arco della canoa. Un orizzonte che evoca, idealmente, quello a cui si affacciano gli studenti nei loro studi universitari. Un mondo nuovo che cambierà loro la vita (O. Gambari F. Poli)



PALAZZO CARIGNANO (piazza Carignano e piazza C. Alberto - chiusura ore 18,30)
La periferia nel cuore del centro storico, quello aulico, prezioso di architetture d’autore del barocco piemontese. Nel cortile di Palazzo Carignano, che vide la proclamazione del Regno d’Italia e la prima sede del Parlamento Italiano, la coppia di artisti torinesi Roberta Bruno e Gianfranco Botto con poesia e sintesi portano l’altra parte delle città, le periferie, quelle della produzione, del lavoro. Perché non ci si dimentichi, perché non si lascino andare come luoghi estranei e abbandonati, perché diventino laboratori di nuove pratiche sociali. Mattoni industriali dialogano con quelli aristocratici del palazzo, ambedue in una condizione di sospensione. La palina gialla di una linea suburbana di bus inchioda il tempo all’attesa. Waiting for the last bus. Attorno si sviluppa un diorama visivo in cui luoghi e architetture si fondono, tra visioni reali e no (O. Gambari F. Poli)



 




PALAZZO ASINARI DI SAN MARZANO (Via Maria Vittoria 4, Torino - chiuso dalle 13 alle 14,30)
Un cerchio minerale, con frammenti di marmo bianco e granito rosa che disegnano composizioni geometriche, che indicano cammini. Un mandala sciamanico che Richard Long ha creato con parti antichissime della Terra, trasformandole in pittura naturale, giocata su due colori netti. Il grande Blue Sky Circle sta al centro del cortile di Palazzo Asinari di San Marzano e sembra che tutto gli ruoti attorno. Il forte contrasto, che si innesca tra l’aspetto primitiva e puro di quest’opera e la ricchezza ricercata del contesto che l’accoglie, suggerisce allo sguardo una visione essenziale del luogo, ne fa ipotizzare la struttura ossea, al di sotto di stucchi, colonne tortili e statue (O. Gambari F. Poli)



PALAZZO CISTERNA (Via Maria Vittoria 12, Torino - chiuso sabato e domenica)
Corte
Nell’abbraccio dello spazio del cortile del palazzo, la grande scultura monumentale Effondrement: 217.5° Arc x 11 dell’artista francese Bernar Venet ne diventa il fulcro, l’elemento catalizzatore. Lo fa trasformandosi in un disegno animato. Un rincorrersi di segni curvilinei che prende vita, che sembra muoversi. La scultura diventa leggera e gioca con le linee che connotano l’architettura del cortile stesso. Elementi arcuati di grande potenza, che stanno in bilico tra caos e ordine. Gli enormi semicerchi che la compongono sono in acciaio Cor-Ten, una pelle su cui il tempo continua a segnare il suo scorrere, così come sulla superficie dell’antico Palazzo Cisterna (O. Gambari F. Poli)


Portico
Nella zona di collegamento tra il cortile e il giardino, il portico si pone come spazio osmotico, filtro visivo alle opere che, così, dialogano dai suoi estremi. Tra la scultura di Venet – nel cortile – e le nove installazioni – nel giardino – si inserisce qui un’altra opera, di Giovanni Anselmo, che, con la sua natura simbolica ed essenziale, sembra offrire una sintesi su temi e immaginari. Mentre l’ago magnetico e la pietra si orientano: una grande pietra accoglie una bussola, per indicare un punto di ascolto, di riflessioni quanto di possibili letture (O. Gambari F. Poli)



GIARDINO DI PALAZZO CISTERNA (Via Carlo Alberto 23, Torino - chiusura ore 19)
Uno spazio di natura raccolto nel cuore della città, sviluppato secondo un gusto all’inglese. Questo giardino selvaggio diventa un luogo magico di apparizioni grazie alle installazioni di nove artisti, eterogenei per generazioni e stili. Sono Nicus Lucà, Riccardo Cordero, Adrian Tranquilli, Domenico Borrelli, Costas Varotsos, Carlo D’Oria, Vittorio Messina, Salvatore Astore e Paolo Grassino. Opere molto diverse trovano casa sul prato, tra alberi e cespugli, lungo i sentieri. A volte in piena visione, altre giocando sull’effetto sorpresa, stando nell’ombra. Una collettiva en plein air che rende il giardino un parco artistico, da percorrere andandone alla scoperta, per istinto (O. Gambari F. Poli)

"CINQUE UOMINI MUTI" Vittorio Messina
"LUOGO DELLA MEMORIA"
Riccardo Cordero
"SPIRALE" Costas Varotsos
PALAZZO BIRAGO DI BORGARO (Via Carlo Alberto 16, Torino - sabato e domenica chiuso)
Una festa barocca in corso, nuvole di forme e colori diversi che esplodono nel cielo come fuochi d’artificio sorprendenti e meravigliosi. L’installazione di Enrica Borghi è giocata sullo spazio vuoto e sospeso contenuto dal cortile di Palazzo Birago di Borgaro. Un branco di Meduse leggere e trasparenti sta nuotando nell’aria, incorniciate dal perimetro architettonico. Alcune si attardano e stanno un po’ fuori dal gruppo, nascoste da colonne, sotto qualche arco. Con grazia e poesia l’artista ricama il suo suggestivo intervento sulla pelle dello spazio, colorandolo con materiali plastici riciclati a cui dona un’inaspettata lievità artistica (O. Gambari F. Poli)





FRANCESCO JODICE: PANORAMA - Fino al 14 agosto 2016


A Camera - Centro Italiano per la Fotografia - la mostra PANORAMA  presenta la più ampia selezione di opere di Francesco Jodice mai raccolta in una singola esposizione.
Sono stati esplorati vent'anni di lavoro di questo fotografo e filmmaker che nella propria investigazione dello scenario geopolitico contemporaneo e delle sue trasformazioni sociali ed urbanistiche, utilizza tutti i linguaggi contemporanei, alternando fotografia, installazioni e video.
Nell'esposizione viene presentato anche il processo che anima il lavoro di Jodice: gli argomenti, le motivazioni e le riflessioni, il  suo modus operandi partendo da tutto ciò che precede e alimenta il risultato finale.
Nel lavoro di Francesco Jodice infatti ciò che conta non è il risultato finale ma anche il processo attraverso cui si ottiene, l'opera infatti scaturisce dall'accumularsi di mappe, libri, 
ritagli di giornale, provini, interviste, filmati e molto altro, messi in mostra su un tavolo modulare di oltre 
40 metri lugo il corridoio di Camera.
Una selezione di sei progetti è presentata nelle sale della mostra dai quali è possibile rintracciare i principali motivi teorici, tematici ed estetici del lavoro di Francesco Jodice, un percorso ventennale che ha avuto come nuclei tematici la partecipazione, il networking, l'antropometria, lo storytelling e l'investigazione.

Wath We Want, lavoro iniziato nel 1996 ed ancora in corso, è un vasto archivio di fotografie e testi sulle più recenti trasformazioni del territorio in seguito alle strategie di colonizzazione dei suoi abitanti, prefigurando il declino dell'Occidente. E' formato da lavori realizzati in circa 150 metropoli di tutto il mondo che mette a confronto una moltitudine di fenomeni simili in distinte parti della terra: un'investigazione su come l'uomo preferisca alterare il territorio piuttosto che trovare il modo adattarvisi.


The Secret Traces (1997-2007) sfrutta la tecnica investigativa del pedinamento per studiare comportamenti individuali e orientamenti collettivi


I tre casi-studio di Citytellers (2006-2010), sono una serie di film che raccontano i nuovi fenomeni di urbanizzazione e aggregazione umana, dall'auto-organizzazione al neo- schiavismo.
Solid Sea (2002) è un progetto multimediale con una chiara declinazione geopolitica: trasforma il Mar Mediterraneo in uno spazio solido e compatto, unico confine stabile in un'epoca segnata da conflitti e dalle continue revisioni delle identità nazionali.
Ritratti di classe (2005-2009) recupera un cliché della fotografia per comporre un ritratto della società presente e futura: costituisce una sorta di carotaggio sullo stato delle cultura e della società italiana di oggi,risolto attraverso il canone standard della fotografia scolastica di fine anno

Soffermandosi sulle nuove generazioni raccoglie con rigore una serie di indicazioni sui loro gusti, le loro abitudini, il loro sistema di relazioni, da cui deduce una serie di cambiamenti culturali e compila un'antologia di quello che sarà


The Room (2009-2006) è un'installazione realizzata con pagine di quotidiani italiani cancellati con una vernice nera che lascia scoperta una sola frase per volta, non sempre di senso compiuto. La stanza è interamente rivestita di giornali, costituendo un grande caleidoscopio che restituisce un'istantanea verbale, totalmente cieca, del Paese, una fotografia composta di parole anziché di immagini, degli umori dell'Italia di oggi. The Room è un mosaico di notizie che emergono dall'oscurità di una stanza illuminata esclusivamente da una lampadina, simbolo di un contesto in cui l'informazione, il sapere e la consapevolezza di ciò che accade sembrano scomparsi, privandoci della possibilità di capire dove siamo e cosa siamo diventati.

Panorama è una mostra sull'opera di un artista il cui lavoro è strumento di documentazione, comprensione ed espressione delle mutazione degli scenari del mondo contemporaneo: Francesco Jodice con il suo modo di lavorare fa tornare l'arte strumento di impegno sociale.





domenica 17 luglio 2016

Donne nell'arte: GIORGIA O'KEEFFE



I famosi ritratti e i nudi di Giorgia O'Keeffe (Sun Prairie US 1887- Santa Fe US 1986) scattati dal compagno Alfred Stieglitz tra il 1917 e il 1937 (quasi 300), hanno lasciato a lungo nell'ombra i dipinti dell'artista.
Grey lines with black,
blue and yellow
Donna in un mondo artistico popolato quasi esclusivamente da uomini, grazie ad una spiccata personalità, ed spolpando una nuova gamma di immagini simboliche ed ambigue, la O'Keefe diventò uno dei pionieri più apprezzati del Modernismo americano.
Aveva esordito nel 1916 con una serie di composizioni astratte che realizzava con acquarello e carboncino. Le stesse erano state inviate ad una sua amica di New York che a sua insaputa le aveva portate ad Alfred Stieglitz, proprietario della Gallery 291 che nel vederle sembra abbia esclamato: "Finalmente una donna su carta". 
Blue and green music - 1921
Per Stieglitz quei disegni, tra le primissime opere astratte realizzate da un artista americano, erano "le più pure, più belle e più sincere che da lungo tempo fossero entrate nella 291 gallery. Esploravano le relazioni tra la forma e il paesaggio, la musica, il colore e la composizione e non passavano inosservati.
Dopo quella prima esposizione per vent'anni il gallerista organizzò ogni anno una mostra per la O'Keeffe avviando così una carriera che si sarebbe protratta per sessant'anni, fino alla metà del 1970.
Senza il supporto di Stieglitz e della sua galleria, dove in passato erano state esposte opere di Picasso, Matisse e Cézanne, probabilmente Giorgia O'Keeffe sarebbe stata ignorata dal mondo dell'arte.
L'artista diventò celebre intorno alla metà degli anni Venti dipingendo grandi tele, diventate immediatamente iconiche, nelle quali lo spazio era completamente occupato da un fiore o da altre forme naturali molto stilizzate, dipinte come se lo spettatore le osservasse con una lente d'ingrandimento
Two Calla Lilies on Pink - 1928
Oriental poppies - 1927











Tra i suoi soggetti preferiti ci sono le Vedute newyorkesi e i paesaggi del New  Messico  
Black Mesa landscape, New Messico - 1930
dove trascorse molto tempo fino dal 1929 e si trasferì definitivamente dal 1949, dopo la morte di Stieglitz divenuto suo marito nel 1924.
Dal suo primo viaggio nel deserto del Nuovo Messico il suo repertorio compositivo si arricchì di ossa di animali che raccoglieva sul terreno 
Ram's Head White Hollyhock and Little Hills -1935
e delle croci di legno lasciate nella zona dalla setta cattolica dei Penitentes.
Alla fine degli Cinquanta, quanto quasi settantenne iniziò a viaggiare per il mondo, realizzò anche una serie di quadri che rappresentavano soltanto delle nuvole, quelle che vedeva dai finestrini dell'aereo
Sky Above Clouds I - 1963
Tutte le sue opere sono sempre state lontane da ogni scuola o tendenza ma in esse si può percepire l'influenza dei fotografi della cerchia di Alfred Stieglitz, come Paul Strand o Edward Steichen
Pepper - 1930
Heavy Roses - 1914

Giorgia O'Keeffe fu costretta ad abbandonare la pittura nel 1972 a causa di gravi problemi alla vista, anche se continuò a realizzare da sola acquarelli e carboncini fino al 1978, e disegni a matita fino al 1984 all'età di 97 anni.

"Nulla è più reale del realismo, i dettagli confondono" G. O'Keeffe