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lunedì 20 febbraio 2017

Bruno Munari Artista Totale - MEF 16/2/17-11/6/17


La mostra al Museo Ettore Fico di Torino documenta l'attività artistica di Bruno Munari (Milano 1907-1998). La sua multiforme ricerca e la sua originalità viene presentata al pubblico attraverso disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, libri illeggibili, oggetti di industrial design, esperienze di grafica editoriale, nuove proposte di pedagogia e molto altro.
Non catalogabile sotto tendenze artistiche o tipologie stilistiche, il lavoro a tutto campo di Munari evidenzia il suo piacere di comunicare, di utilizzare forme semplici anche se rigorose e la sua grande immaginazione.
Attento osservatore della vita, da cui traeva esperienze, sapeva far diventare le sue idee fantastiche creazioni innovative e dal carattere giocoso.
"Conservare lo spirito dell'infanzia dentro di sé tutta la vita - diceva Munari - vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare". Un'artista non individualista, Munari vedeva nella figura del disigner la volontà di sperimentare i materiali più idonei a ottenere il massimo risultato al minimo costo, un metodo di lavoro in grado di soddisfare la funzione degli oggetti in relazione alle esigenze della collettività.
Per Munari la regola ed il caso dovevano coesistere, soltanto la congiunzione tra queste due dimensioni della vita avrebbero permesso al flusso delle idee di essere realizzate dando un equilibrio alla fantasia.
Nella mostra sono esposte opere dagli anni Trenta agli anni Novanta. Le fasi iniziali del suo lavoro passano dalla 

L'ospedale delle macchine - 1929
Futurista - 1931 
contaminazione avvenuta dall'incontro con i Futuristi della "seconda ondata" (con i quali espose alla Galleria Pesaro tra il 1927 e il 1932)


alla contrapposizione ironica e provocatoria alle logiche razionaliste che vide la realizzazione delle "sculture aeree", delle "macchine inutili" (infinite composizioni nello spazio formate dal movimento casuale dell'aria)delle "macchine aritmiche" e delle "sculture da viaggio" che rappresentarono una sfida alla retorica della scultura monumentale.
8 colori in un quadrato - 1933
Sperimentatore ad ampio raggio Munari si è cimentato nella pittura a partire dagli anni Trenta con opere di Astrattismo, per poi approdare negli anni Cinquanta all'importante ciclo dei "Negativi-positivi", esempi di una ricerca artistica che si protrarrà fino agli anni Novanta con varianti compositive caratterizzate da varietà di supporti e tecniche (bozzetti, disegni, progetti, dipinti a olio, collage, acrilico, tempera) realizzati nel corso del tempo su tela e su tavola, su carta, con superfici anche sagomate, con metallo verniciato
Negativo positivo
(collage e acrilico su cartoncino)

Negativo positivo a tre dimensioni
(metallo)

Per contravvenire alla pittura tradizionale nella quale tutti i colori hanno un posto fisso (il blu del cielo è sempre in fondo, le case in primo piano, non si possono spostere), con le  sue pitture "negativo positivo" Munari intendeva dare posizioni diverse alle forme e ai colori: per la prima volta i colori si muovono nella pittura avanti e indietro secondo la volontà dell'osservatore e questo, come diceva l'artista "serve a muovere l'immaginazione, a vedere anche in altri modi".
Continuando nella sperimentazione Munari inventò "Scritture illeggibili di popoli immaginari" (1955) e ancora giochi grafici come "Ideogrammi", "Variazioni sul viso umano", "Antenati", "Alberi" e molti altri ...
Gli antenati - 1970

Alberi- 1993
Volto - 1993


Per quanto riguarda l'invenzione di nuovi spazi tridimensionali sono presentate opere come "Salto mortale", "Filipesi" (forme appese definite dalla forza di gravità e dall'equilibrio strutturale),


 "Macchina aerea",


"Alta tensione"


"Flex". Si tratta di costruzioni plastiche dotate di materiali metallici, lignei, filiformi:  continui avvolgimenti di aerea leggerezza dove il peso del vuoto risulta determinante per il dialogo tra fantasia ed immaginazione.
Per ciò che riguarda il rapporto con le tecnologie, Munari indaga la possibilità di usare in modo diverso le caratteristiche degli strumenti a disposizione, ne è un esempio la serie delle "Xerografie originali" con le quali creava forme di vario tipo muovendo l'immagine di base sul piano della fotocopiatrice, in modo irripetibile.





In questo modo Munari intendeva sperimentare come uno strumento inventato per riprodurre originali, potesse diventare anche uno strumento per produrre originali.
L'interesse per la dimensione ludica del comunicare portò Munari a frequentare il linguaggio della fantasia con grande senso ironico ed umoristico nei confronti degli oggetti d'uso e trasformò la percezione del quotidiano con nuove morfologie: un esempio sono le "Forchette parlanti" che, come diceva Munari - gesticolano come le mani - 


Singer, sedia per visite brevissime
Zanotta 1945
oppure la "Sedia per visite brevi", o il "Supplemento al dizionario italiano"

Lampada Falkland - Danese 1964

Celebri sono diventati gli oggetti di design, prodotti da Zanotta, Interflex, Robots e Danese (lampada Falkland, Ora X, portacenere cubico, Abitacolo, ne sono alcuni esempi).
A queste tipologie si aggiunsero anche esperienze nel campo delle arti applicate con esempi di tessuti stampati, tessuti morbidi con composizioni astratte, piatti e gioielli.
In mostra anche un'ampia sezione dedicata al libro nelle sue molteplici forme: libri-oggetto, libri illeggibili, libri didattici, libri teorici, con varie ricerche di grafica editoriale. Un repertorio che testimonia i rapporti con le case editrici con cui collaborò principalmente  Einaudi, Zanichelli, Laterza, Corraini, Lucini, ecc.
Una bella mostra per conoscere un grande sperimentatore...






Arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica. B.M.

lunedì 13 febbraio 2017

Leggendo libri sull'arte: IL REALISMO NELLA PITTURA

La tendenza generale dei pittori del passato era quella di riprodurre la natura il più fedelmente possibile, anzi il traguardo massimo era quello di dipingerla in maniera più naturale della natura stessa.
Canestra di frutta - Caravaggio 1594-98
Proverbiale è l'episodio del quadro dipinto nel V secolo a.C. dal pittore greco Zeusi di Eraclea, raffigurante un grappolo d'uva che attirava l'attenzione di stormi di uccelli nella speranza di sfamarsi. Il contemporaneo Parraso a sua volta dipinse un drappo che copriva parzialmente il quadro. Quel panno era talmente simile al reale che l'amico Zeusi tentò di toglierlo per vedere il soggetto della pittura.
L'aneddoto continua riportando le parole di Zeusi che riconobbe la superiorità pittorica del collega perché era riuscito ad ingannare un pittore mentre lui soltanto agli uccelli.
Racconta Giorgio Vasari nel suo libro Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti che Giotto ancor giovinetto, in assenza del suo maestro Cimabue, un giorno si divertì a dipingere una mosca sul naso di una figura che lo stesso Cimabue stava realizzando. La mosca sembrava così realistica che quando il maestro si accorse di quell'insetto, fece numerosi tentativi per scacciarlo prima di accorgersi che era dipinto.
Tiziano eseguì il ritratto di papa Paolo III da sembrare  così veritiero che quando fu messo ad asciugare davanti ad una finestra aperta, le persone che passavano per piazza San Pietro si inginocchiavano    sperando di ricevere una benedizione.
Saper riprodurre con realismo i volti fu molto utile per arrestare i rapinatori che nel corso di un viaggio assalirono Annibale Carracci e suo padre. La fugace occhiata che Annibale era riuscito a dare ai malviventi, gli bastò per tracciare i loro identikit e consegnarli alle forze dell'ordine che poterono catturare i malfattori.
Grazie alla sua memoria fotografica anche Giovanni Antonio Bazzi (detto il Sodoma) poté far catturare un soldato ubriaco che lo insultò pesantemente: recatosi dal comandante della guarnigione per denunciare il fatto, gli venne obiettato che i soldati erano duemila e sarebbe stato impossibile trovare il colpevole ma lui si fece dare carta e matita e tracciò un ritratto così accurato che permise l'identificazione della persona da parte dei suoi commilitoni e il suo successivo arresto.
Il principio di "fedeltà dal vero" perseguito da Caravaggio fu tale da consentire a tutti di riconoscere in alcune delle figure rappresentate nei dipinti persone di dubbia moralità e questo gli creò molti problemi.
Giovanni Baglione ci riferisse come Il quadro "La madonna dei pellegrini" realizzato da Caravaggio avesse prodotto "estremo schiamazzo" da parte dei popolani che avevano riconosciuto nel volto della Madonna il viso di Maddalena Antognetti, detta Lena, figura nota in città per essere stata l'amante di molti potenti ed aver avuto problemi con la giustizia per la sua vita da cortigiana.
Raffigurare Madonne o Sante ritraendo donne di facili costumi spesso produceva il rifiuto degli stessi committenti quando non gli creava problemi con la giustizia.

Coloro che ci hanno lasciato opere di così grande realismo, qualunque sia il genere trattato, non possono che essere lodati per la loro bravura e ricordati attraverso i lavori che ancora oggi possiamo ammirare.

  










sabato 11 febbraio 2017

THE INSTITUTE OF THINGS TO COME - Primo Capitolo: ECHT di Bedwyr Williams



La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta "The Institute o Things to Come" un centro di ricerca temporaneo sul futuro, un progetto ampio che si articola in un ciclo di quattro mostre personali collegate ad un programma di formazione dedicato a dodici studenti fra artisti, curatori, ricercatori, scrittori sia italiani che stranieri, selezionati attraverso un bando aperto e sostenuto dalla Compagnia di SanPaolo nell'ambito del bando ORA! Linguaggi contemporanei produzioni innovative. Un percorso in cui si interroga il presente con lo sguardo rivolto al futuro.
Ispirato al romanzo "The Shape of Things to Come", il progetto nasce da una riflessione sul concetto di "finzione come critica" con l'obiettivo di esaminare come l'uomo interpreta il futuro attraverso le proprie paure e le proprie aspettative, immaginando alternative a ciò che esiste.
Per l'occasione, sono stati invitati quattro artisti che presentano lavori che attingono a tecniche tipiche del cinema fantastico, della performance e del pensiero scientifico-accademico per mostrare possibili scenari futuri.
Oltre alle mostre in programma, ogni artista condurrà un workshop in collaborazione con un ospite (un artista o uno specialista) per illustrare gli scenari di finzione proposti nei lavori.
Per il primo capitolo (9 febbraio-26 marzo 2017) è stato scelto l'artista Bedwyr Williams ( St. Asaph-Galles 1974) che utilizza media differenti come la performance, il film e la scrittura per esplorare l'attrito tra gli aspetti banali e quelli seri della vita moderna.
Il suo interesse principale si fonda sull'immaginazione di scenari catastrofici e sugli effetti che essi hanno sulla vita quotidiana delle persone. Le sue performance trattano spesso di un futuro dispotico, nel quale gravi problematiche sono minimizzate da momenti di umorismo assurdo o da osservazioni banali.

Per la sua personale alla Fondazione Sandretto Williams presenta Echt, un'installazione filmica frutto di fantasia nella quale immagina un futuro prossimo in cui le istituzioni britanniche e il sistema di governo sono crollati a causa di un evento apocalittico, denominato le "Grandi Risse" che ha costretto l'umanità a riformare la società, dopo aver cancellato le regole sociali precedenti.
In questo nuovo mondo nel quale lo status sociale si basa sul consumo smisurato, figure di accumulatori compulsivi sono diventati veri e propri re che detengono il potere. 


Questi accumulatori di oggetti e spazzatura hanno installato le loro corti e i loro centri di controllo in vecchie discoteche e locali notturni dismessi e sono accompagnati da una serie di bizzarri cortigiani descritti dalla voce narrante di Williams.
La visione dell'artista non premia il pubblico con una prospettiva pacifica ed armoniosa; fornisce piuttosto una caricatura del nostro istinto compulsivo, tutto contemporaneo, di accumulazione di merci.
Il futuro rappresenta, ancora una volta, un pretesto per ripensare la nostra vita ed i meccanismi che la regolano ai giorni nostri.
Nonostante non vi siano riferimenti alla condizione politico-sociale  post Brexit della Gran Bretagna, il film ne riecheggia gli scenari e non è un caso se la parola echt, che in inglese non significa nulla, in lingua tedesca significhi "reale".
Williams è noto per la sua satira sul rapporto tra artista e curatore, per cui costruisce scenari assurdi dove si svelano queste relazioni. Recentemente ha esplorato, attraverso il video, il tema della distopia e il senso dell'esistenza del genere umano. Ha esposto in numerose mostre collettive e personali ed ha partecipato alla 55^ Biennale di Venezia (2013) nel padiglione del Galles.


martedì 31 gennaio 2017

Curiosità: L'ORIGINE DEL RITRATTO

Il ritratto del suo amante 1785 - Jean-Baptiste Regnault

Il ritratto, genere artistico antico e tra i più diffusi e amati nella storia dell'arte, sembra abbia avuto origine in Grecia.
Nel libro  XXXV cap. 43 della Naturalis Historia (77 d.c.) di Plinio il Vecchio è narrata la storia che attribuisce alla forza dell'amore la nascita del primo ritratto della storia, disegnato dalle mani di una ragazza.
La scoperta della pittura 1773/74
Eduard Daege
La leggenda racconta che la figlia di un vasaio di Sicione che lavorava a Corinto, era innamorata di un giovane che doveva partire per un lungo viaggio. Per paura di dimenticare il volto dell'amato la ragazza utilizzò l'ombra proiettata sul muro dalla luce di una lampada per tracciare i contorni del viso del giovane.
Successivamente il padre, che volle dare consistenza al ritratto, ne riempì i contorni con l'argilla e fece un modello che mise nel forno di cottura insieme al vasellame che stava producendo.
Sembra che questo primo ritratto della storia dell'arte fosse custodito nel Nymphaeum fino alla distruzione di Corinto da parte di Lucio Mummio Acaico.











giovedì 26 gennaio 2017

Le donne nell'arte: ANTONIETTA RAPHAEL (MAFAI)

Antonietta Raphaël Mafai 1918
Nata nel 1895 a Kovno, in Lituania, era figlia di un rabbino che la lascia orfana a otto anni. Nel 1905 si trasferisce a Londra con la madre.
Cresciuta si mantiene vendendo i suoi ricami e nel frattempo studia musica dando lezioni di piano ad altri per pagarsi le sue.
Nel 1919, rimasta sola dopo la morte della madre, la giovane artista si trasferisce a Parigi e poi, nel 1924, si reca a Roma dove frequenta i corsi dell'accademia e conosce Mario Mafai .
Nasce tra loro una passione intensa e dolorosa, intessuta in egual misura di vita in comune (avranno tre figlie) e di momenti di lontananza.
Antonietta e Mario 
Nel 1930 Antonietta e Mario si recano a Parigi, qui frequenta Chagall, De Chirico e Savinio e si dedica allo studio della scultura che la occuperà quasi interamente negli anni successivi, mentre la vocazione pittorica lasciata negli anni Trenta e Quaranta riemergerà negli anni Sessanta.
Antonietta Raphaël è stata uno degli artisti più visionari nel panorama italiano della prima metà XX secolo: l'immagine, nella sua pittura, è percorsa da colori caldi e luminosi che scopre al suo arrivo sulle coste mediterranee, lei stessa scrive "sono nordica, lituana; la mia adolescenza l'ho trascorsa in Inghilterra. Giungere sulle coste mediterranee è stato per me una rivelazione. Mi sembrava di sentire vibrare i colori attorno a me, direi quasi più di chi ha sempre vissuto nel Sud"
Mafai che beve
Protagonista della Scuola Romana, è sempre citata come terza dopo Scipione (Gino Bonichi) e Mario Mafai, ma Antonietta non è da considerare una figura minore poiché la sua pittura si individuano tratti unici e particolari.
Nelle sue tele dipinte tra il 1928 e il 1929 la figura è come miniaturizzata, riportata alle dimensioni di un'insegna di bottega, di ex voto, di un'illustrazione popolare con uno spiccato primitivismo. Lo prova anche l'opera Mia madre benedice le candele, dove il rito ebraico è interpretato come un atto sciamannino e malinconico e dove la donna in preghiera ha sul volto una piega amara


e lo provano ancora i paesaggi romani di questi anni, paesaggi fiabeschi, dove Roma appare come un fragile presepio e l'Arco di Settimio Severo all'alba sembra un fondale di cartapesta,



mentre la Veduta dalla terrazza di via Cavour ci consegna un Colosseo-giocattolo e una famiglia di casupole evanescenti.


Antonietta usa i colori in modo istintivo ma allo stesso tempo sapiente per rappresentare atmosfere europee con sapore medio-orientale, uno stile di pittura che in quegli anni influenza gli altri due pittori della triade: Scipione  e Mario Mafai. 
Il ponte degli Angeli - Scipione 1930
Senza nulla togliere all'importanza della Scuola Romana fra le due guerre, è bene ricordare le opere luminose e febbrili che Antonietta dipinge negli anni Sessanta come Giuditta: l'eroina biblica tiene la testa  gigantesca di Oloferne  
sopra la propria, come fosse un copricapo o una fionda. I suoi grandi occhi, il suo corpo dorato immergo nelle tinte vellutate di un paesaggio notturno scaldato dal fuoco del velo rosso, fanno di quest'opera un'immagine barbarica e insieme onirica e di Giuditta una figura dal fascino oscuro tra la magia e la creatura zingaresca. 
A questa vena visionaria la Raphaël  accosta una vena di forte realismo  che manifesta nella scultura.
Di solida e potete plasticità sono infatti i suoi bronzi e i suoi gessi che prendono le mosse da Maillol. La scultrice trasforma però la ricerca volumetrica purista del maestro francese in un'indagine sulla fisicità dei corpi, di cui rappresenta senza idealizzazioni la pienezza rigogliosa, ma anche i segni delle emozioni che 
la vita vi ha lasciato.
Sono opere capaci di raccogliere dentro di sé gli echi del passato, senza perdere l'immediatezza del presente: un esempio è il Ritratto di Emilio Jesi (1940) scolpito nell'onice del Brasile, che sembra emerso dalla profondità dei secoli come un dignitario egiziano, oppure La sognatrice (1946) che racchiude in sé un'anima dell'Estremo Oriente.

Il riconoscimento del suo lavoro arriva nel 1947 con la prima mostra importante al fianco di Mario Mafai nella Galleria Barbaroux di Roma, poi nel 1948 espone alla Quadriennale di Roma. Nello stesso anno è presente alla Biennale di Venezia dove tornerà nel 1950 , nel 1952 e nel 1954.
Gli anni Cinquanta sono anche gli anni dei viaggi: più volte in Sicilia, in Cina ed in Spagna. 
Nel 1960 viene pubblicata la prima monografia e il Centro Culturale Olivetti le dedica un'antologica ( 13 sculture e 39 dipinti).
Gli Anni Sessanta sono anni di grande attività nei quali produce sculture e grandi dipinti dedicati a temi biblici come il Cantico dei Cantici e Le lamentazioni di Giobbe, ma anche anni di dolore per la morte del marito che la lascia nel 1965   ed in memoria del quale l'anno seguente dipinge la grande tela intitolata Omaggio a Mafai.
Prima del 1970 realizza la fusione di tutte le sue sculture. Si dedica alla litografia mentre, con l'energia che ha caratterizzato tutta la sua vita, dipinge le ultime due grandi tele: Omaggio a Picasso e Concerto sul Lago di Vico, forse le più gioiose di tutta la sua produzione.
Muore a Roma il 5 settembre 1975.










domenica 22 gennaio 2017

SERGEI IVANOVICH SHCHUKIN e la sua straordinaria collezione


Dopo essere diventato capo della grande impresa industriale e commerciale tessile della famiglia in seguito alla morte del padre, S. I. Shchukin (1854-1936) inizia la sua avventura nell'arte a Parigi alla fine degli anni ottanta del Novecento quando, in Francia per motivi di lavoro, incomincia a comprare da Paul Durand-Ruel (il mercante degli impressionisti) dipinti di Pissarro, Renoir, Degas e soprattutto Monet, di cui arriva a possedere tredici opere.
Durante i viaggi a Parigi frequenta le gallerie e da Vollard acquista già nel 1896 i suoi primi due Césanne, che ancora nessuno voleva e un gruppo di dipinti di Gauguin.
Henrie Matisse
L'incontro fondamentale è nel 1907 con Matisse di cui trentasette sue opere entrano in collezione. 
Matisse gli presenta Picasso da cui comprerà ben cinquanta quadri del periodo blu, rosa e di quello cubista.
Le pareti del palazzo Troubetskoi di Mosca, in cui vive con la moglie Lyda  e i loro tre figli, vengono interamente ricoperte di quadri . Dal 1908 Shchukin apre la sua collezione al pubblico ogni domenica mattina, un pubblico che derideva le opere esposte, troppo all'avanguardia per quei tempi.



La collezione finisce di crescere nel 1914 e dopo la rivoluzione bolscevica, nel 1918, viene nazionalizzata. Nel 1922 è fusa a quella dell'industriale tessile Ivan Morozov (1871-1921) per diventare il Museo della pittura occidentale moderna. 
Nel 1948 per volere di Stalin la collezione Shchukin,  che comprende ben 275 opere di altissima qualità, viene destinata parte all'Ermitage di San Pietroburgo e parte al Mueso Puškin di Mosca.
Shchukin lascia la Russia e vivrà in esilio in Francia fino alla sua morte avvenuta il 10 gennaio 1936. 
Con la sua collezione che comprende capolavori di Monet, Degas, Renoi, Pissarro, Césanne, Rousseau, Bonnard, Vuillard, Derain, Vlamimck, Braque, Tatlin, Rodcenko, Goncarova, Malevic ma soprattutto Gauguin, Matisse e Picasso,


André Derain

Vladimir Tatlineil
Henri Rousseau
Henri de Toulouse Lautrec
Kazimir Malèvitch
Kazimir Malèvitch
Kazimir Malèvitch

Shchukin è stato, insieme ai fratelli Stein e al suo connazionale Morozov, uno dei grandi protagonisti del decollo dell'arte d'avanguardia all'inizio del XX secolo.
Dopo essersi interessato agli impressionisti, ormai affermati, grazie alla sua cultura e alla sua grande sensibilità estetica, ha fatto scelte rischiose dimostrando di aver compreso molto in anticipo quelli che sarebbero stati gli sviluppi futuri dell'arte nuova.



Fino al 20 febbraio 2017, 130 opere della collezione sono esposte nei quattro piani della Fondazione Louis Vuitton bellissimo edificio realizzato da Frank Gehry ora colorato dall'intervento artistico di Daniel Buren.